LA SOLIDARIETÀ POST-CONIUGALE A QUARANT’ANNI DALLA RIFORMA DEL ’75.

Enrico Al Mureden

Professore Assistente dell’Università di Bologna.

enrico.almureden@unibo.it

RIASSUNTO: Il sistema di regole ideato dal legislatore nella prima metà degli anni Settanta al fine di garantire un’adeguata tutela al coniuge al termine del matrimonio appare ispirato ad un paradigma di famiglia e di crisi coniugale che, seppur ancora presente e diffuso, ha gradualmente lasciato spazio a modelli di famiglia “nuovi” caratterizzati da una instabilità della coppia e da una marcata tendenza alla ricomposizione di nuclei familiari successivamente alla dissoluzione del matrimonio. I mutamenti della famiglia percepibili nella prospettiva delle scienze sociali e in larga misura recepiti da recenti interventi legislativi sembrano indicare, pertanto, una complessiva esigenza di ripensamento delle regole che governano la solidarietà post-coniugale e del “diritto vivente” formatosi soprattutto con riferimento alle previsioni in materia di assegno di mantenimento ed assegno post-matrimoniale. Ripensamento che, senza compromettere la fondamentale esigenza di garantire un’adeguata tutela al coniuge che abbia investito un considerevole periodo di vita nell’esperienza matrimoniale, consenta di individuare soluzioni funzionali a modulare il diritto al mantenimento valorizzando il principio dell’autoresponsabilità e limitando, ove opportuno, la persistenza a tempo indeterminato di vincoli di solidarietà tra gli ex coniugi.

PAROLE CHIAVE: Diritto di famiglia. Nuovi modelli di famiglia. Solidarietà post-conjugali. Principio dell’autoresponsabilità.

A solidariedade pós-conjugal quarenta anos após a Reforma de 1975

RESUMO: O sistema de regras criadas pelo legislador na primeira metade dos anos setenta, a fim de assegurar uma proteção adequada ao cônjuge depois do casamento parece inspirado por um paradigma da família e crise conjugal que, embora ainda presente e difundida, tem gradualmente deu lugar em padrões familiares “nova” caracterizada por um par de instabilidade e uma tendência acentuada para a recomposição das famílias após a dissolução do casamento. A família muda perceptível na perspectiva das ciências sociais e em grande parte endossado por ações legislativas recentes parecem indicar, portanto, uma necessidade geral de repensar as regras que governam a solidariedade pós-conjugal e de “direito vivo” formado especialmente com referência às disposições sobre pensão alimentícia e cheque pós-conjugal. Adendo que, sem comprometer o requisito fundamental para assegurar a proteção adequada para o cônjuge que tem investido um considerável período de vida experimentada na cama, permitindo a identificação de soluções funcionais para modular o direito de manutenção aumentando o princípio da autorresponsabilidade e limitando, onde apropriadas, a persistência indefinidamente os laços de solidariedade entre os ex-cônjuges.

PALAVRAS-CHAVE: Direito de família. Novos modelos da família. Solidariedade pós-conjugal. Princípio da autorresponsabilidade.

Post-conjugal solidarity fourth years from the reform of '75

ABSTRACT: The system of rules created by the legislator in the first half of the seventies in order to ensure adequate protection for the spouse at the end of marriage seems inspired by a family paradigm and marital crisis that, although still present and diffused, gradually Leaving room for “new” family models characterized by an instability of the couple and a marked trend towards the recomposition of family nucleuses after the dissolution of marriage. Changes in the family perceptible in the perspective of social sciences and to a large extent transposed by recent legislative measures seem to indicate a total need for rethinking the rules governing post-marital solidarity and the “living right” formulated above all with reference to the forecasts In the case of maintenance allowance and post-maternity allowance. Recalling that, without compromising the fundamental need to ensure adequate protection for a spouse who has invested a considerable amount of time in matrimonial experience, it is possible to identify functional solutions to modify the right to maintenance by enhancing the principle of self-responsibility and limiting, The indefinite persistence of solidarity constraints among the former spouses.]

KEYWORDS: Family law. New Family Models. Post-conjugal solidarity. Principle of self-responsibility.

Introduzione

L’articolata disciplina concernente la solidarietà post-coniugale ha costituito uno degli aspetti maggiormente significativi della Riforma del ’75. Il legislatore, infatti, era chiamato a rimodellare in funzione dei principi costituzionali un complesso di regole che nel sistema previgente erano funzionali ad assicurare un’adeguata tutela successoria del coniuge superstite[1] ed il diritto al mantenimento del coniuge separato nell’ambito di un rapporto matrimoniale che si caratterizzava per l’indissolubilità del vincolo, per la preminenza del marito[2] sulla moglie e per un favor per l’unione coniugale, che si manifestava in previsioni funzionali ad escludere o limitare nella massima misura possibile le interferenze determinate dalla creazione di rapporti affettivi e di filiazione al di fuori del matrimonio o costituiti contemporaneamente ad esso[3].

In quel contesto non si poneva l’esigenza di garantire la parità tra i coniugi, né quella di assicurare un’identica tutela ai figli nati da una coppia coniugata ed a quelli nati da genitori non uniti in matrimonio, né, infine, quella di conseguire un’equilibrata suddivisione delle risorse tra nuclei familiari che si sovrapponessero nel tempo; infatti, stante l’indissolubilità del matrimonio, la coesistenza di nuclei familiari legittimi fondati su un primo matrimonio, in seguito sciolto, e su un secondo matrimonio contratto in epoca successiva risultava circoscritta alla sola ipotesi della vedovanza. Pertanto, erano radicalmente escluse situazioni nelle quali potesse porsi il problema di conciliare i doveri scaturenti dalla solidarietà post-coniugale nei confronti dell’ex coniuge con l’adempimento dei doveri matrimoniali nei riguardi del secondo coniuge.

Le profonde trasformazioni che precedettero ed accompagnarono la Riforma del ’75 imposero al legislatore l’esigenza di delineare un complesso sistema di regole funzionale all’attuazione della solidarietà post-coniugale coerente con il principio costituzionale dell’uguaglianza tra coniugi (art. 29 Cost.) e capace di fornire una tutela adeguata sia in caso di dissoluzione del matrimonio per morte, sia nelle ipotesi di separazione, divorzio ed invalidità.

A distanza di quarant’anni dalla Riforma questo sistema di regole appare sotto alcuni profili tuttora attuale, ma, al tempo stesso, sembra necessitare di integrazioni e correttivi funzionali a fornire un’adeguata soluzione alle esigenze poste dall’affermarsi di nuovi modelli familiari caratterizzati da una significativa instabilità della coppia e dalla tendenza alla ricomposizione di nuclei familiari nuovi successivamente alla crisi del rapporto matrimoniale.

In quest’ottica, l’analisi del sistema della solidarietà post-coniugale sembra dover essere condotta tenendo conto, anzitutto, del paradigma della famiglia coniugale unita nell’ambito della quale la crisi del rapporto era concepita dal legislatore del ’75 alla stregua di una “fase patologica” destinata a sfociare nella separazione o, al più, nel definitivo scioglimento del matrimonio. Accanto a questa prospettiva, inoltre, occorre considerare quella, ormai sempre più estesa, della complessità di modelli familiari caratterizzata dalla presenza di famiglie “legittime” non necessariamente cementate da un’unione matrimoniale dei genitori[4] e comunque soggette ad una crescente instabilità del rapporto di coppia e ad una propensione a formare nuclei familiari ulteriori. Proprio in quest’ottica sembra imporsi la necessità di una parziale riconsiderazione di regole e orientamenti giurisprudenziali consolidati, così da poter garantire un’efficace attuazione dei principi costituzionali che governano i rapporti tra coniugi anche in un contesto significativamente mutato rispetto a quello che costituì un modello sulla base del quale fu concepita, quarant’anni orsono la disciplina della solidarietà post-coniugale.

1  Il “sistema” della solidarietà postconiugale nella Riforma del 1975

L’intenzione di garantire l’attuazione del principio della parità tra i coniugi (art. 29 Cost.) e l’esigenza di predisporre una adeguata tutela della parte debole emergono chiaramente nei lavori preparatori del sistema delineato dal legislatore del 1975 e in parte della legge sul divorzio e si concretizzano in una risposta articolata su differenti piani.

Riguardo al regime secondario-distributivo la comunione legale prevede la compartecipazione agli acquisti compiuti in costanza di matrimonio dai coniugi insieme o separatamente (artt. 177-178 c.c.).

Anche con riferimento al regime di separazione si riscontra un riconoscimento dell’apporto paritario dei partners durante il matrimonio laddove l’art. 219, comma 2, c.c. dispone che “i beni di cui nessuno dei coniugi può dimostrare la proprietà esclusiva sono di proprietà indivisa per pari quota di entrambi i coniugi”[5].

L’importanza del lavoro domestico emerge, poi, nel disposto dell’art. 230 bis c.c., secondo cui la qualità di partecipante all’attività di impresa ed i relativi diritti spettano al familiare che “presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa”.

L’attuazione del principio di parità tra i coniugi (art. 29 Cost.) trova il suo più significativo riconoscimento nel carattere inderogabile del regime primario contributivo. In questo contesto il dovere di “contribuire ai bisogni della famiglia” che ciascun coniuge è chiamato ad assolvere “in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo” nella fase fisiologica del matrimonio (art. 143, comma 3, c.c.)[6], può persistere anche nella separazione - trasformandosi nel dovere di corrispondere un assegno di mantenimento a favore del coniuge “che non abbia adeguati redditi propri” e “a cui non sia addebitabile la separazione” (art. 156, comma 1, c.c.) - ed estendersi anche oltre lo scioglimento del matrimonio, atteso che all’ex coniuge divorziato è riconosciuto il diritto a ricevere periodicamente un assegno qualora non disponga di mezzi adeguati o comunque non possa procurarseli per ragioni oggettive (art. 5, comma 6, L. div.)[7].

A completare il quadro delineato si aggiungono anche altre previsioni che confermano il principio secondo cui il matrimonio può garantire tutele patrimoniali che persistono ben oltre la sua dissoluzione. Così, il coniuge separato a cui non sia addebitata la separazione conserva i diritti successori (artt. 548 e 585 c.c.), l’ex coniuge divorziato[8] non passato a nuove nozze e titolare di assegno post-matrimoniale ha diritto ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro (art. 12 bis, comma 1, L. div.), alla pensione di reversibilità (art. 9, commi 2 e 3, L. div.) e, se in stato di bisogno, ad un assegno periodico a carico dell’eredità (art. 9 bis, L. div.); infine l’ex coniuge a cui “non spetti l’assistenza sanitaria per nessun altro titolo, conserva il diritto nei confronti dell’ente mutualistico da cui sia assistito l’altro coniuge” (art. 5, comma 11, L. div.)[9].

Con riferimento all’ipotesi in cui venga dichiarata la nullità del matrimonio è prevista una disciplina specifica per il mantenimento (artt. 129-129 bis c.c.), ma nulla è disposto con riferimento alle conseguenze della pronuncia di nullità sul regime patrimoniale, né sul rapporto di impresa familiare. Come si osserverà, sembra che, nonostante l’analitico sistema di previsioni appena indicate, le esigenze di tutela del coniuge debole non possano dirsi realizzate in modo soddisfacente e l’attuazione del principio costituzionale della parità non appaia pienamente raggiunta proprio con specifico riferimento al momento della crisi coniugale, a quello della dissoluzione del matrimonio a seguito del divorzio, infine alle ipotesi della dichiarazione di nullità[10].

In primo luogo non appare sufficientemente tutelato il coniuge che nel corso di un matrimonio di lunga durata abbia sacrificato le proprie aspirazioni professionali per dedicarsi alla cura della famiglia. Inoltre sembra che nel sistema di regole introdotto dalla Riforma del ’75 e dalla legge sul divorzio non sia stato tenuto nella dovuta considerazione il fatto che le esigenze di organizzare la vita della famiglia possono persistere anche durante la crisi del matrimonio e dopo la sua dissoluzione; cosicché si può affermare che non abbia trovato adeguato riconoscimento l’impegno richiesto al genitore che in questa fase continui a farsi prevalentemente carico della cura dei figli e non siano stati compiutamente considerati i riflessi negativi che tale ruolo può indirettamente determinare sulla sua sfera personale e patrimoniale.

Peraltro anche la diversa esigenza di evitare di dar vita ad ingiustificate rendite di posizione fondate su rapporti matrimoniali di breve durata ha indotto, soprattutto in tempi recenti, ad operare una revisione delle regole che governano la tutela del coniuge debole e a valorizzare il principio dell’autoresponsabilità.

In definitiva, quindi, sembra porsi una indifferibile esigenza di differenziare, anzitutto, le tutele offerte alla parte economicamente debole nel contesto della separazione ed in quello del divorzio, quindi, con specifico riferimento alla posizione degli ex coniugi divorziati, di modulare il “sacrificio” richiesto alla parte economicamente forte sulla base di un rigoroso riferimento alla durata del rapporto matrimoniale ed alle condizioni della parte debole.

2  Il regime di comunione legale come strumento di attuazione della parità tra coniugi; i profili di inadeguatezza

L’aspirazione ad assegnare alla comunione legale la funzione di strumento di attuazione del principio della parità tra i coniugi, significativamente avvertita all’epoca della Riforma, può considerarsi scarsamente attuata a quarant’anni di distanza. Le scienze sociali hanno evidenziato una progressiva disaffezione dei coniugi rispetto al regime legale, che è stata incisivamente definita alla stregua di una “fuga” dalla comunione alla separazione dei beni[11] e che testimonia come una parte sempre più rilevante del corpo sociale non trovi nel regime legale le risposte alle proprie esigenze[12]. In effetti, l’incapacità della comunione di attuare un’effettiva compensazione dei sacrifici affrontati da ciascun coniuge nell’interesse della famiglia emerge con evidenza qualora si prenda in considerazione il problema dell’allocazione di quella nuova forma di ricchezza oggi sempre più rilevante costituita dalle capacità di reddito dei coniugi. Nella maggior parte dei casi, i sacrifici compiuti da entrambi i coniugi mirano non tanto alla costituzione di un patrimonio in senso tradizionale (e cioè formato da beni mobili o immobili suscettibili di essere valutati e ripartiti), quanto all’acquisizione da parte di uno di essi di significative capacità professionali e quindi di reddito, da cui dovrebbe derivare un elevato tenore di vita per la famiglia. Ciò fa sì che al momento della crisi e della dissoluzione del matrimonio il capitale costituito dalle accresciute capacità professionali di uno dei coniugi risulti “invisibile” dal punto di vista del regime di comunione, concepito per attuare la compensazione con esclusivo riferimento ad un patrimonio inteso in senso tradizionale.

Da ultimo, muovendo dalla constatazione di una significativa e crescente diffusione sociale del regime della separazione, la dottrina più attenta alle esigenze di protezione del coniuge debole sottolinea “la necessità di un intervento legislativo che introduca correttivi al regime patrimoniale primario, tenuto conto che il regime di separazione dei beni può, in taluni casi e per taluni profili, dar luogo ad inconvenienti o veri e propri gravi pregiudizi per i familiari deboli”[13]. A questo proposito si auspica l’introduzione di previsioni che consentano di rafforzare, sotto diversi profili, la tutela offerta al coniuge debole. Così si sottolinea l’opportunità che, similmente a quanto accade in altri ordinamenti, “determinati beni - come la casa di abitazione della famiglia - ancorché di proprietà individuale” risultino “protetti dalle decisioni unilaterali del coniuge proprietario che possono gravemente pregiudicare i diritti dell’altro coniuge e dei figli”[14]; che sia prevista la regola della solidarietà fra coniugi per le obbligazioni contratte singolarmente nell’interesse della famiglia[15]; che con particolare riferimento alla fase della crisi coniugale, si introducano previsioni che, indipendentemente dal regime patrimoniale prescelto[16], consentano, “in caso di rottura del matrimonio, una equa allocazione della ricchezza familiare, come avviene nei matrimoni di common law”[17].

In ogni caso, stante il carattere inderogabile del regime di comunione, nel sistema normativo attuale, l’assegno di mantenimento e l’assegno divorzile costituiscono gli unici strumenti ai quali è affidata inderogabilmente l’attuazione della solidarietà postconiugale e dell’equa divisione delle risorse tra coniugi separati ed ex coniugi divorziati.

3  L’assegno di mantenimento e l’assegno divorzile nel “diritto vivente”

Come anticipato, il dovere di “contribuire ai bisogni della famiglia” che ciascun coniuge è chiamato ad assolvere “in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo” nella fase fisiologica del matrimonio (art. 143, comma 3, c.c.), può persistere anche nella separazione - trasformandosi nel dovere di corrispondere un assegno di mantenimento (art. 156, comma 1, c.c.) a favore del coniuge “che non abbia adeguati redditi propri” e “a cui non sia addebitabile la separazione”.

Sul piano interpretativo la lettura di questa norma ha dato luogo a notevoli incertezze anzitutto con riguardo al problema di individuare un parametro di riferimento in relazione al quale commisurare l’adeguatezza dei mezzi del richiedente[18].

L’orientamento ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità è nel senso di affermare che nel contesto della separazione si “instaura un regime che - a differenza del divorzio - tende a conservare il più possibile tutti gli effetti del matrimonio compatibili con la cessazione della convivenza e, quindi, il tenore e il tipo di vita di ciascun coniuge”[19].

Proprio in questa prospettiva, ribadendo l’idea di una marcata persistenza del dovere di contribuzione anche successivamente alla cessazione della convivenza coniugale, la S.C. ha chiarito che, ai fini della valutazione di adeguatezza dei redditi del soggetto che invoca l’assegno, il parametro di riferimento è costituito dalle potenzialità economiche complessive dei coniugi durante il matrimonio; e che ad esso occorre riferirsi anche per individuare e definire la qualità delle esigenze e l’entità delle aspettative del richiedente. L’orientamento secondo cui “il tenore di vita matrimoniale deve essere determinato in funzione di quello che il coniuge economicamente forte aveva il dovere di consentire all’altro in relazione alle sostanze di cui disponeva anziché al più modesto tenore di vita eventualmente tollerato in costanza di matrimonio”[20].

Anche riguardo all’assegno post-matrimoniale - così come per l’assegno di mantenimento - si riscontrano indicazioni contraddittorie, che riflettono la difficoltà di individuare un convincente equilibrio tra l’esigenza di tutela del coniuge debole e quella di non gravare eccessivamente l’altro[21] e danno luogo a notevoli incertezze soprattutto riguardo all’idoneità a realizzare un’equa divisione dei costi che comporta la vita della famiglia dopo il divorzio.

La formulazione dell’art. 5, comma 6, L. div. introdotta dalla L. 6 marzo 1987, n. 74 - che prevede “l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive” tenuto conto “delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio” - da una parte ha notevolmente semplificato la questione interpretativa concernente la natura dell’assegno che si era prospettata sotto la vigenza del testo originario, ma, dall’altra, ha lasciato aperta quella relativa al criterio in funzione del quale individuare l’inadeguatezza dei mezzi del richiedente e quella della valenza da attribuire agli altri criteri. Così si deve considerare superato l’orientamento che - sotto la vigenza del testo poi modificato dalla L. 6 marzo 1987, n. 74 - propendeva per la natura composita[22]. E sebbene non siano mancate perplessità[23], la natura assistenziale dell’assegno post-matrimoniale appare ormai indiscussa[24]. Come ha incisivamente precisato la S.C.: “il rapporto di consequenzialità fra la mancanza dei mezzi adeguati ed il diritto all’assegno assume carattere esclusivo, nel senso che per l’attribuzione dell’assegno nessun’altra ragione può avere rilievo”[25].

Maggiori incertezze si sono manifestate riguardo all’individuazione del parametro al quale rapportare il concetto di mezzi adeguati. Al riguardo era emersa una contrapposizione tra l’orientamento secondo cui l’assegno post-matrimoniale doveva essere attribuito qualora il coniuge richiedente non disponesse di “mezzi economici adeguati per permettergli di conservare un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio” e quello in ragione del quale l’adeguatezza dei mezzi non deve essere riferita al tenore di vita matrimoniale, ma al parametro della vita libera e dignitosa[26]. Contrapposizione che le Sezioni Unite, ormai venticinque anni orsono, hanno risolto adottando una soluzio ne che consente, da un lato, di garantire la tutela del coniuge debole - laddove l’assegno di divorzio viene concepito come rimedio al deterioramento delle precedenti condizioni economiche in dipendenza del divorzio - senza dimenticare, dall’altro, la preoccupazione di evitare il crearsi di rendite parassitarie ed ingiustificate proiezioni del rapporto patrimoniale ormai venuto meno[27]. Proprio all’attuazione di queste esigenze è funzionale l’idea di concepire un giudizio scomposto in una “prima fase logica” nella quale il giudice - dopo aver comparato la condizione economica del richiedente goduta nel momento precedente la cessazione della convivenza e quella determinatasi al momento della pronuncia di divorzio - individua quanto astrattamente necessario a quest’ultimo al fine di evitare un sensibile deterioramento del tenore di vita, ed una “seconda fase” in cui, il “tetto massimo” della misura dell’assegno determinato in astratto, viene poi sottoposto al vaglio degli altri criteri predisposti dall’art. 5, comma 6, L. div., al fine di quantificarne in concreto la misura[28]. Dall’analisi della casistica giurisprudenziale, in effetti, emerge che il ri corso ai criteri indicati dall’art. 5 L. div. al fine di ridurre o addirittura far venire meno l’assegno di divorzio è assai frequente. Così la presenza in capo al coniuge richiedente di redditi propri, di cespiti patrimoniali di ingente valore, ancorché improduttivi o scarsamente produttivi di reddito[29], la possibilità di beneficiare di aiuti economici da parte della famiglia di origine[30], l’instaurazione di una convivenza nell’ambito della quale sia configurabile la possibilità di essere stabilmente mantenuto dall’altro partner[31] sono stati sovente considerati elementi capaci di far venire meno o ridurre l’assegno post-matrimoniale. Tra di essi assume una rilevanza particolarmente significativa il criterio della durata del matrimonio, valorizzando il quale è stato possibile giungere all’azzeramento dell’assegno post-matrimoniale persino in presenza di evidenti disparità di reddito tra i coniugi[32].

4  Il parametro del tenore di vita coniugale al vaglio della Corte costituzionale

Il principale caposaldo del “diritto vivente” formatosi in materia di assegno di mantenimento e di assegno divorzile, ossia il riferimento al “dogma del ‘tenore di vita’” come criterio per decidere riguardo all’attribuzione ed alla misura del mantenimento richiesto dalla parte economicamente debole, è stato messo in discussione, in tempi relativamente recenti allorché è stata sollevata una questione di legittimità costituzionale che ha evidenziato i profili anacronistici di quell’orientamento, riferiti “ad una gerarchia di valori non più adeguati alla contemporanea legalità costituzionale”[33]. La Corte costituzionale, invero, ha recentemente dichiarato l’infondatezza della questione[34]. Questa condivisibile decisione, tuttavia, non appare incompatibile con un apprezzamento di alcune delle motivazioni addotte dall’ordinanza di remissione, soprattutto ove esse inducono ad una riflessione sull’opportunità di valorizzare il principio dell’autoresponsabilità del richiedente e sulla necessità di limitare la tutela offerta al coniuge economicamente debole al termine di matrimoni di breve durata nei quali non si riscontrino esigenze di cura di figli non autosufficienti.

L’interpretazione dell’art. 5, comma 6, L. n. 898/​1970 prevalsa nel diritto vivente - attribuendo al coniuge economicamente debole la garanzia di mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio - avrebbe travalicato, ad avviso del giudice remittente, la funzione assistenziale che dovrebbe essere propria dell’assegno divorzile. In definitiva, proseguiva l’ordinanza, individuare il presupposto dell’assegno post-coniugale nello sbilanciamento delle situazioni patrimoniali degli ex coniugi e poi quantificarlo nella cifra congrua a “mantenere il tenore di vita coniugale”, non costituirebbe “un ‘arricchimento’ della funzione assistenziale indicata dalla legge, ma una sua alterazione, che travalica il dato normativo e la stessa intenzione del legislatore”.

I profili di irragionevolezza insiti nell’attuale diritto vivente venivano ulteriormente sottolineati anche nella prospettiva del raffronto con i principi emergenti in altri Paesi dell’UE. La motivazione dell’ordinanza di remissione, infatti, poneva in luce che la Commissione europea sul diritto di famiglia ha stabilito il principio secondo il quale “dopo il divorzio ciascun coniuge provvede ai propri bisogni” (principio2.2)[35]. Da questo principio, continua va la motivazione del Tribunale di Firenze, “deriva che dopo il matrimonio, gli unici legami a rimanere in vita sono quelli che riguardano i figli”; in ogni caso, qualora siano effettivamente mantenuti rapporti di tipo patrimoniale tra i coniugi, essi dovrebbero rivestire il carattere della temporaneità (principio 2.8).

Da ultimo, l’irragionevolezza dell’attuale diritto vivente in materia di assegno divorzile era stata motivata sotto il profilo dei profondi mutamenti che hanno interessato l’istituto matrimoniale e che possono essere sintetizzati nella c.d. “privatizzazione della relazione di coppia”. Proprio sotto questo aspetto sembrava ravvisarsi, ad opinione del giudice remittente, un contrasto tra la previsione di un vincolo matrimoniale che può essere dissolto per iniziativa unilaterale di uno dei coniugi ed una disciplina delle conseguenze economiche che garantisca a tempo indeterminato il persistente godimento del tenore di vita coniugale alla parte economicamente debole, in omaggio ad una “concezione ‘criptoindissolubilista’ del matrimonio che appare oggi anacronistica” e che non tiene conto del dato che vede la donna pienamente protagonista della “vita economica e sociale della famiglia”. Il profilo del cosiddetto “anacronismo legislativo” sembrava costituire - ad opinione del giudice remittente - un’ulteriore e fondamentale ragione che faceva apparire necessaria “una revisione critica del dogma del tenore di vita”; dogma che, secondo l’ordinanza del Tribunale di Firenze, doveva considerarsi legato “ad un’altra epoca, ad un’altra gerarchia di valori non più adeguati alla contemporanea legalità costituzionale”.

5  La persistente ragionevolezza del diritto vivente in materia di assegno postmatrimoniale

Come anticipato, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Firenze, le cui motivazioni, in effetti, apparivano in larga misura non condivisibili. In particolare, destava perplessità l’assunto secondo cui la c.d. “privatizzazione della relazione di coppia” e la previsione di un vincolo matrimoniale che può essere dissolto per iniziativa unilaterale di uno dei coniugi[36] risulta incompatibile con una disciplina delle conseguenze economiche che garantisca a tempo indeterminato il persistente godimento del tenore di vita coniugale alla parte economicamente debole, in omaggio ad una “concezione ‘criptoindissolubilista’ del matrimonio che appare oggi anacronistica” e che non tiene conto del dato che vede la donna pienamente protagonista della “vita economica e sociale della famiglia”. In realtà, l’osservazione comparatistica rivolta verso gli ordinamenti di common law testimonia che, al contrario, l’abdicazione da parte dello Stato del ruolo di gatekeeper of access to divorce abbia fatto da contrappeso all’assunzione di quello di guardian of the economic interest of divorcing spouses and their children[37]; in altri termini, proprio l’indebolimento del vincolo matrimoniale ha posto in particolare evidenza l’esigenza di garantire che ciascuno dei coniugi lasci il matrimonio “on terms of financial equality”[38]. Non a caso negli Stati Uniti e in Inghilterra l’introduzione dell’equitable distribution system - ossia della regola della divisione tendenzialmente paritaria delle risorse della famiglia al momento della rottura del matrimonio - ha coinciso con il passaggio dal divorzio basato sulla colpa al c.d. no fault divorce[39].

Anche l’assunto secondo il quale il riferimento al tenore di vita coniugale come criterio per decidere riguardo alla spettanza ed alla attribuzione dell’assegno divorzile appare inadeguato in quanto non tiene conto del dato che vede la donna pienamente protagonista della “vita economica e sociale della famiglia” appare, invero, contraddetto dagli studi statistici e sociologici. Tali dati, al contrario, dimostrano che nelle società in cui la parità tra uomo e donna può dirsi raggiunta in una prospettiva individuale il problema della uguaglianza tra i coniugi è tuttora irrisolto; e pertanto la presenza delle donne nel mondo del lavoro non consente di superare il problema della tutela del coniuge economicamente debole, ma lo arricchisce di elementi di complessità ed impone di osservarlo nella più ampia prospettiva della gender justice. Queste osservazioni inducono a sottolineare la fondamentale importanza assunta dagli strumenti di riequilibrio delle posizioni economiche dei coniugi al momento della rottura del matrimonio e, per quanto concerne il nostro ordinamento, dall’assegno divorzile e dall’assegno di mantenimento. In quest’ottica occorre rimarcare che il nostro ordinamento da un lato enuncia il principio della eguaglianza tra i coniugi (art. 29 Cost.)[40], e, al tempo stesso, lascia “la stabilità della famiglia […] nelle mani” di questi ultimi, non ponendo regole per garantirla contro la loro volontà[41]. Appare fondamentale, pertanto, assicurare un’equa divisione delle risorse proprio al momento della rottura del matrimonio ed evitare che, in una fase della vita familiare caratterizzata da una accentuata dispersione delle risorse patrimoniali e umane, le conseguenze negative derivanti da una divisione del lavoro concordemente adottata ricadano sul coniuge più debole, il quale, nella maggior parte dei casi, si è prevalentemente dedicato all’attività casalinga[42].

Le basi più solide sulle quali fondare l’assunto secondo cui il principio di parità deve essere necessariamente garantito anche al momento della rottura del matrimonio risiedono nelle norme che mirano a garantirne l’attuazione nella fase fisiologica del rapporto. Dall’analisi di queste disposizioni emerge l’idea per cui il legislatore - consapevole del fatto che la divisione del lavoro nella famiglia si caratterizza per una ripartizione tendenzialmente asimmetrica e per una persistente distinzione dei ruoli - detta regole attuative del principio costituzionale della parità (art. 29 Cost.). Ciò traspare in modo evidente laddove - sancendo inderogabilmente il principio della equiparazione tra lavoro casalingo ed extradomestico - si stabilisce che “con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri”, “sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia” (art. 143 c.c.) e devono adempiere l’obbligo di mantenere i figli (artt. 147 e 315 bis c.c.) “in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo” (artt. 148 e 316 bis c.c.).

Considerazioni analoghe hanno accompagnato anche l’introduzione del regime legale della comunione, in cui la logica perequativa sottesa all’istituto viene presentata come un contrappeso rispetto ad una situazione di “evidente ingiustizia nei confronti della donna; il cui lavoro domestico si sostanzia in una dura, se pur non appariscente fatica”[43]. Poiché la possibilità di optare per il diverso regime della separazione dei beni non compromette l’attuazione inderogabile del principio di parità, che viene assolta dal regime primario contributivo[44], si può affermare che nella fase fisiologica del rapporto matrimoniale la divisione asimmetrica del lavoro all’interno della famiglia trovi un adeguato contrappeso. Proprio muovendo da questa constatazione, si deve affermare che anche nel momento in cui il matrimonio si rompe il principio della parità tra coniugi deve trovare applicazione e governare la divisione delle ricchezze. In altre parole, è necessario che anche - e soprattutto - le norme che disciplinano gli effetti patrimoniali della crisi coniugale e dello scioglimento del matrimonio costituiscano un efficace contrappeso rispetto alle conseguenze negative che si ricollegano ad una divisione asimmetrica del lavoro domestico nella famiglia e che proprio nel momento della rottura del matrimonio possono manifestarsi in tutta la loro gravità. Se così non fosse, l’attuazione del principio costituzionale dell’eguaglianza tra i coniugi risulterebbe gravemente compromessa e si darebbe vita ad una situazione quasi paradossale in quanto gli strumenti che dovrebbero controbilanciare una divisione asimmetrica dei pesi della famiglia assisterebbero il coniuge debole in un momento (la fase fisiologica) nel quale normalmente la comunione di vita rende l’esigenza di tutela superflua, per poi abbandonarlo proprio quando gli effetti negativi connessi alla prolungata dedizione alla cura della famiglia si possono manifestare - e generalmente si manifestano - con maggiore asprezza.

L’insieme di queste considerazioni induce a sottolineare che l’assegno divorzile e l’assegno di mantenimento debbano essere osservati come un vero e proprio architrave sul quale si deve reggere un sistema che miri a realizzare quella equa condivisione delle risorse della famiglia funzionale all’attuazione del principio della parità tra coniugi. Dunque, proprio la rilettura delle norme in tema di assegno di mantenimento e assegno di divorzio alla luce del principio costituzionale della parità tra i coniugi (art. 29 Cost.) e dell’esigenza di garantire adeguata tutela al singolo che abbia investito le proprie energie e sacrificato le proprie aspirazioni professionali per la cura della famiglia (art. 2 Cost.)[45] dovrebbe costituire una prospettiva ineludibile in funzione della quale ricostruire un’efficace tutela della parte debole[46].

Le osservazioni appena svolte confermano - quantomeno con riferimento ai matrimoni di lunga durata ed a quelli nei quali siano presenti figli non autosufficienti - la persistente ragionevolezza dell’orientamento formatosi nel diritto vivente secondo cui l’adeguatezza dei mezzi del coniuge che richiede l’assegno divorzile deve essere commisurata al tenore di vita che le potenzialità economiche della famiglia hanno consentito di godere in costanza di matrimonio ed avrebbero consentito di continuare a godere nel caso in cui questo fosse proseguito.

In definitiva queste osservazioni inducono ad apprezzare la decisione con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità dell’art. 5, comma 6, L. div. così come costantemente interpretato nel diritto vivente, nonché a confermare, a maggior ragione, la condivisibilità dell’orientamento che individua nel tenore di vita coniugale comprensivo di tutte le potenzialità economiche della famiglia il parametro in ragione del quale decidere riguardo alla spettanza ed alla quantificazione dell’assegno di mantenimento. Occorre considerare, d’altra parte, anche una diversa prospettiva che impone di rivisitare criticamente il riferimento al tenore di vita coniugale costantemente operato dalla giurisprudenza e che assume una significativa rilevanza soprattutto con riferimento ai matrimoni di breve durata nei quali non siano presenti figli. Sotto questo profilo risultano apprezzabili le considerazioni espresse dall’ordinanza di remissione, rispetto alle quali, invero, sembra possibile riscontrare una implicita apertura nella stessa decisione della Corte costituzionale. In particolare l’esigenza di differenziare la tutela offerta al coniuge economicamente debole limitandone od escludendone la portata in presenza di rapporti matrimoniali caratterizzati da una particolare brevità e dall’assenza di figli sembra emergere laddove la Corte costituzionale precisa che il riferimento al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio “non costituisce l’unico parametro di riferimento ai fini della statuizione sull’assegno divorzile”. Queste considerazioni sembrano ulteriormente ribadite anche ove la stessa motivazione precisa che il parametro del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio assume rilievo al fine della determinazione in astratto del tetto massimo della misura dell’assegno, ma deve essere bilanciato, caso per caso, in concreto, con tutti gli altri criteri indicati nell’art. 5, comma 6, L. div.[47].

6  La solidarietà post-coniugale nello specchio delle famiglie che si sovrappongono nel tempo

Le profonde modificazioni sociali e normative indicate a fondamento della “necessaria revisione critica del dogma del ‘tenore di vita’” come punto di riferimento in funzione del quale valutare l’adeguatezza dei mezzi della parte che richiede l’assegno divorzile appaiono indubbiamente meritevoli di attenta considerazione. In effetti, l’attuale contesto sociale e normativo risulta sensibilmente differenziato rispetto a quello nel quale si era formato questo consolidato indirizzo giurisprudenziale. In tale prospettiva occorre tenere in considerazione, anzitutto, i dati demografici e statistici dai quali emerge che in un significativo numero di casi gli ex coniugi reduci dal divorzio tendono a riformare nuovi nuclei familiari[48]. Questa eventualità - indubbiamente meno frequente e quindi meno avvertita dagli interpreti all’inizio degli anni Novanta - genera in molti casi una trama di rapporti che mal si concilia con la finalità di assicurare al nucleo familiare originario la persistenza di un livello di benessere coincidente con il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio per tutto il tempo successivo al divorzio.

Oltre alle considerazioni basate su dati statistici e demografici, occorre rilevare che anche il sistema delle norme che governano i rapporti familiari è stato segnato da rilevanti modificazioni e risulta oggi sensibilmente mutato rispetto a quello nel quale il “diritto vivente” in materia di assegno divorzile si è formato all’inizio degli anni Novanta. Anzitutto occorre ricordare che a seguito dell’introduzione della L. n. 54/​2006 è stato sancito il diritto del figlio minore “di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo” con ciascuno dei genitori anche in caso di separazione personale o di divorzio di essi, “di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale” (art. 155 c.c. introdotto dalla L. n. 54/​2006 e collocato oggi nell’art. 337 ter, comma 1, c.c.).

L’esigenza di compensare la fragilità e l’instabilità che caratterizzano le unioni dei genitori attribuendo rilievo a nuove forme di responsabilità e coinvolgimento in capo a questi ultimi e nuovi legami di parentela all’interno del nucleo familiare inteso in senso “esteso”[49] è stata ulteriormente assecondata dalla Riforma introdotta dalla L. n. 219/​2012 e dal D.Lgs. n. 154/​2013. Con essa il legislatore ha definitivamente sancito la condizione unica dei figli, rendendo irrilevante la circostanza che i genitori siano coniugati, siano legati da un’unione di fatto o non abbiano mai formato una coppia unita. In virtù di una modificazione legislativa epocale, oggi il figlio è inserito nei rapporti di parentela di entrambi i genitori a prescindere dal matrimonio di questi ultimi (artt. 74 e 258 c.c.)[50]; genitori che sono chiamati di regola ad esercitare congiuntamente la responsabilità genitoriale a prescindere dal tipo di unione che li lega e dalla sua sorte[51]. In questo nuovo scenario il significato giuridico del matrimonio perde ogni importanza per quanto concerne il rapporto genitori-figli e finisce per concentrarsi nell’ambito del rapporto di coppia. La previsione di significative forme di tutela per la parte economicamente debole successivamente alla rottura del matrimonio continua, quindi, a costituire un elemento imprescindibile e particolarmente qualificante, che consente di distinguere nettamente la valenza del matrimonio rispetto a quella delle unioni non coniugali[52]. Sotto questo profilo l’esigenza di assicurare un’adeguata tutela al coniuge che abbia investito molti anni nella cura della famiglia appare ancora attuale. Pertanto il diritto vivente che arricchisce la funzione assistenziale dell’assegno divorzile con il riferimento al tenore di vita coniugale inteso nel senso più pieno sembra tuttora rispondente al canone della ragionevolezza, così come condivisibilmente precisato dalla decisione della Corte costituzionale. Queste considerazioni appaiono, a maggior ragione, condivisibili allorché venga in considerazione l’esigenza di assicurare un adeguato mantenimento al coniuge separato.

Quanto osservato non esclude, d’altra parte, anche l’esigenza che la tutela riconosciuta all’ex coniuge divorziato non comprometta altri diritti fondamentali. Esigenza che appare oggi ancor più avvertita rispetto al passato laddove si consideri che riconoscere al coniuge o all’ex coniuge economicamente debole un incondizionato diritto al mantenimento del tenore di vita coniugale potrebbe condurre a gravare eccessivamente la posizione dell’ex coniuge obbligato, limitando la possibilità che quest’ultimo disponga di risorse adeguate per il mantenimento del nucleo familiare che egli intenda formare successivamente alla rottura del primo. La meritevolezza di tutela del “diritto” a formare una (nuova) famiglia può essere osservata come un dato “nuovo”, che trova spazio nel nostro ordinamento anche in considerazione dell’importanza assunta dalle fonti sovranazionali[53]. Sotto questo profilo appare opportuno richiamare una decisione di legittimità[54] con la quale è stato precisato che la costituzione di una nuova famiglia successivamente alla disgregazione del primo gruppo familiare costituisce un diritto ricompreso tra quelli riconosciuti dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo del 1950 (art. 12) e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (art. 9). E poiché il diritto dell’individuo a formarsi una famiglia non può incontrare un limite nemmeno laddove sia presente un primo nucleo familiare la cui unità sia venuta meno a seguito della crisi del primo matrimonio, si deve concludere che i diritti dei componenti della seconda famiglia (sia essa fondata sul matrimonio o sulla convivenza) non possono essere compressi per garantire il persistente godimento del tenore di vita coniugale ai componenti del primo nucleo familiare.

In definitiva, nell’attuale contesto normativo l’esigenza di assicurare al coniuge la conservazione di un tenore di vita tendenzialmente analogo a quello goduto in costanza di matrimonio da un lato continua a rivestire un’importanza imprescindibile, ma, dall’altro, deve essere contemperato anche con al tri diritti fondamentali che l’ordinamento aspira a garantire. Sotto il primo profilo conservano la loro validità le osservazioni secondo cui l’assegno di mantenimento e l’assegno divorzile costituiscono gli unici strumenti che il nostro ordinamento appresta al fine di attuare un riequilibrio economico tra le posizioni dei coniugi al termine del matrimonio; essi, quindi, sono e restano l’architrave di un sistema che enuncia il principio della eguaglianza tra i coniugi (art. 29 Cost.) ed aspira a garantirne l’effettività nel momento in cui il matrimonio termina[55]. D’altra parte, in un ordinamento che mira a tutelare il principio della parità tra i coniugi, che riconosce il diritto a porre fine all’unione matrimoniale[56] e quello a formare una famiglia (eventualmente anche dopo la rottura di una primo matrimonio) appare necessario che la tutela del coniuge economicamente debole risulti efficace, ma non incondizionata. In altri termini, è necessario evitare che essa finisca per comprimere irragionevolmente altri diritti fondamentali che l’ordinamento tutela e, segnatamente, i diritti dei componenti della famiglia formata successivamente alla rottura del matrimonio. Diversamente risulterebbe violato il parametro costituzionale della ragionevolezza e si attuerebbe un bilanciamento tra valori non appropriato, che potrebbe condurre “ad esiti palesemente irrazionali in quanto incompatibili con la stessa ratio legis”[57] della disciplina delle conseguenze economiche del divorzio e, più in generale, delle norme che governano la distribuzione delle risorse economiche all’interno della famiglia da intendere oggi nella sua accezione più estesa.

Indubbiamente, una volta adottata questa particolare visuale, appare necessario valorizzare massimamente gli strumenti che il legislatore già fornisce al fine di conseguire una razionale distribuzione di risorse che, nella maggior parte dei casi, risultano limitate[58]. Sotto questo profilo appare imprescindibile l’esigenza di attribuire rilievo al principio della autoresponsabilità. Il che dovrebbe condurre - anche sulla scorta di esperienze già maturate in altri ordinamenti europei - a differenziare sensibilmente la tutela assistenziale fornita al coniuge economicamente debole attribuendo il massimo rilievo ad aspetti quali la giovane età, l’assenza di carichi familiari derivanti dalla necessità di prendersi cura dei figli non ancora autosufficienti, infine la breve durata della relazione coniugale. Sotto questo profilo appare particolarmente apprezzabile la decisione della Corte costituzionale che, pur dichiarando l’infondatezza della decisione di legittimità del diritto vivente in materia di assegno divorzile, sottolinea l’opportunità di valorizzare, caso per caso, i criteri enunciati nell’art. 5, comma 6, L. div. al fine di modulare la tutela offerta al coniuge economicamente debole evitando la creazione di ingiustificate rendite di posizione. Questo obiettivo, in effetti, potrebbe essere conseguito attraverso una lettura interpretativa rigorosa delle norme e del “diritto vivente” attualmente esistenti. In particolare, valorizzando opportunamente i criteri enunciati nell’art. 5, comma 6, L. div., sembra possibile declinare la funzione assistenziale dell’assegno divorzile secondo modalità differenziate in ragione delle specifiche esigenze di tutela del coniuge debole evitando che la sua tutela possa risolversi nella ingiustificata compressione di altri diritti fondamentali.

7  Formazione di una nuova famiglia, autoresponsabilità ed estinzione definitiva dell’assegno divorzile

La formazione di una famiglia non fondata sul matrimonio è stata osservata dalla giurisprudenza recente alla stregua di un elemento capace di determinare l’irreversibile estinzione del contributo economico dovuto per il mantenimento dell’ex coniuge divorziato[59].

La soluzione accolta dalla giurisprudenza di legittimità e di merito fino ad oggi dominante propendeva per il carattere reversibile delle limitazioni del dovere di mantenimento gravante sull’ex coniuge. Pronunce relativamente recenti, infatti, avevano chiarito che l’instaurazione di una stabile convivenza da parte del beneficiario dell’assegno divorzile costituiva un limite agli obblighi imposti alla parte economicamente forte e poneva detto assegno “in una fase di quiescenza”; il che comportava la possibilità che la parte economicamente debole riproponesse l’istanza volta al conseguimento dell’assegno divorzile in caso di rottura della convivenza[60]. Questa soluzione - seppur conforme al tenore letterale dell’art. 5, comma 10, L. div. - è apparsa sotto alcuni profili espressione di una concezione dei rapporti tra ex coniugi che mal si concilia con il contesto normativo attuale e, soprattutto, con la rilevanza che in esso viene attribuita alla formazione di una nuova famiglia nella quale siano presenti figli comuni dei partners. Infatti, qualora si convenga circa il fatto che attraverso la creazione di una nuova famiglia (viepiù se cementata dalla presenza di figli comuni) si compie un atto di autoresponsabilità inconciliabile con il persistente godimento dei benefici economici derivanti da rapporto coniugale ormai terminato, appare ragionevole concludere che il venir meno dell’assegno post-matrimoniale dovrebbe assumere, in linea di principio, un carattere definitivo e quindi non reversibile[61]. La soluzione adottata da recenti decisioni della Cassazione, secondo la quale l’intervenuta instaurazione di una convivenza da parte dell’ex coniuge beneficiario dell’assegno post-matrimoniale dopo la definitiva rottura del vincolo coniugale dovrebbe determinare l’effetto di limitare o escludere i doveri di mantenimento gravanti sull’altro in via definitiva ed irreversibile appare, quindi, in linea di principio condivisibile. Essa, infatti, ricollegando all’instaurazione di una convivenza stabile l’effetto di estinguere il diritto dell’ex coniuge divorziato alla percezione dell’assegno divorzile, appare coerente rispetto ad un disegno complessivo nel quale la giurisprudenza, verosimilmente anticipando il legislatore[62], attribuisce gradualmente rilievo alla famiglia non fondata sul matrimonio, sia in termini “positivi”, riconoscendo al convivente specifiche tutele, sia in termini “negativi”, ossia ricollegando alla convivenza la perdita di diritti scaturenti da un precedente vincolo coniugale andato in crisi.

Occorre precisare che le osservazioni svolte con riferimento ai riflessi che l’instaurazione di una nuova convivenza può determinare sull’assegno divorzile non sembrano poter essere ripetute nelle ipotesi in cui la convivenza sia instaurata da un coniuge separato titolare di assegno di mantenimento. La separazione, infatti, determina un allentamento del vincolo matrimoniale, che, tuttavia, persiste e quindi la permanenza di uno status di coniuge che è persino suscettibile di riacquistare una rilevanza piena a seguito di una eventuale riconciliazione. In quest’ultima ipotesi potrebbe addirittura risorgere l’obbligo di contribuzione ex art. 143 c.c., e, in caso di una successiva crisi dei coniugi già riconciliati, potrebbero ancora ricorrere i presupposti per l’attribuzione di un assegno di mantenimento ex art. 156 c.c. In altri termini l’instaurazione di una convivenza more uxorio da parte di un soggetto che, in quanto separato, conservi ancora un significativo legame con l’altro coniuge può sicuramente legittimare la limitazione o l’esclusione dei doveri di mantenimento scaturenti dall’art. 156 c.c. Al tempo stesso la persistenza del vincolo coniugale dovrebbe consentire di attribuire alla limitazione o all’esclusione dei doveri di mantenimento gravanti sul coniuge i caratteri della provvisorietà e reversibilità in ragione dei quali appare possibile ritenere che il diritto al mantenimento della parte economicamente debole si trovi in una situazione di quiescenza e possa ripristinarsi in caso di rottura della nuova convivenza o di riconciliazione con il coniuge separato.

8  Verso una limitazione delle perduranti posizioni di interdipendenza economica tra ex coniugi tra prospettive de iure condendo e autonomia privata

L’osservazione del sistema della solidarietà post-coniugale a quarant’anni di distanza dalla Riforma del ’75 evidenzia, da una parte, l’opportunità di mantenere una efficace tutela inderogabile a favore del coniuge economicamente debole che abbia dedicato gran parte della vita matrimoniale alla cura della famiglia o che sia destinato ad occuparsi prevalentemente dei figli anche nel periodo successivo alla separazione o al divorzio. D’altra parte emerge con una crescente rilevanza l’esigenza di limitare la presenza di posizioni di interdipendenza tra gli ex coniugi soprattutto in presenza di rapporti matrimoniali di breve durata nei quali non si riscontri un perdurante impegno per la cura di figli comuni. In effetti anche l’analisi comparatistica testimonia che nella maggior parte degli ordinamenti europei e di common law si è ormai affermato il principio secondo cui appare preferibile, ove possibile, limitare la presenza di posizioni di interdipendenza tra gli ex coniugi. In quest’ottica vengono in considerazione anzitutto l’introduzione di forme di mantenimento con funzione riabilitativa e soggette a rigorosi limiti temporali; quindi gli strumenti di definizione una tantum delle conseguenze del divorzio, che consentono di eliminare in radice i problemi connessi alla sussistenza di obblighi di mantenimento periodici; infine la crescente attribuzione di rilievo alla formazione di nuclei familiari non fondati sul matrimonio come limite alla persistenza di obblighi di mantenimento scaturenti dalla dissoluzione di una precedente unione matrimoniale.

Così, in molti paesi dell’UE si sta affermando il cosiddetto principio dell’autoresponsabilità[63], che conduce a prevedere una tutela assistenziale-riabilitativa e tendenzialmente limitata nel tempo per il coniuge reduce da un matrimonio di breve durata, ancora in giovane età e non gravato dall’impegno richiesto per l’accudimento dei figli[64]. Questa scelta del legislatore non di rado si accompagna a norme che impongono una definizione una tantum delle conseguenze economiche del divorzio. Nei sistemi di common law, ad esempio, l’adesione alla c.d. clean break theory[65] consente di risolvere il problema dei riflessi patrimoniali del divorzio mediante l’attribuzione di una somma una tantum (lump sum) o l’assegnazione al coniuge economicamente debole di uno o più beni appartenenti all’altro, limitando ad ipotesi residuali il pagamento di somme periodiche a titolo di mantenimento. Tale impostazione è indubbiamente funzionale all’esigenza di consentire ai coniugi di definire una volta per tutte i rapporti patrimoniali conseguenti al divorzio e lasciarsi alle spalle la passata esperienza per ricominciare una nuova vita[66]. Del resto, anche in ordinamenti di civil law maggiormente affini al nostro, sono stati introdotti in tempi relativamente recenti strumenti idonei a conciliare l’esigenza di mantenimento del coniuge economicamente debole con quella di evitare il protrarsi di posizioni di interdipendenza economica successivamente al divorzio. Così, ad esempio, nell’ordinamento francese, la corresponsione della prestation compensatoire deve essere effettuata, ove possibile, mediante l’attribuzione una tantum di una somma di denaro o di un bene immobile (art. 270 code civil)[67] e, solo in caso di mancanza di risorse sufficienti in capo al coniuge economicamente forte, può essere assolta mediante pagamenti periodici (art. 275 code civil)[68].

Per quanto riguarda l’attribuzione di rilievo alle relazioni familiari non basate sul matrimonio riveste sicuro interesse la soluzione recepita nel nuovo art. 101 c.c. spagnolo che, oltre al passaggio a nuove nozze, annovera tra le cause di estinzione del diritto a percepire l’assegno divorzile anche la formazione di una famiglia non fondata sul matrimonio.

Indubbiamente - anche alla luce delle recenti Riforme che hanno condotto all’introduzione della c.d. negoziazione assistita (D.L. n. 132/​2014, poi convertito con modifiche dalla L. n. 162/​2014) e del “divorzio breve” (L. n. 55/​2015) - sarebbe auspicabile un intervento del legislatore che - allineandosi a soluzioni già praticate in altri ordinamenti - adegui la disciplina delle conseguenze economiche della rottura del matrimonio alle esigenze determinate dalla crescente diffusione di nuovi modelli di famiglia articolati e complessi determinati dalla sovrapposizione nel tempo di diversi nuclei familiari che fanno capo all’unico soggetto economicamente forte.

Per quanto concerne l’introduzione di strumenti di definizione una tantum dei rapporti economici tra ex coniugi divorziati e la previsione di un mantenimento dell’ex coniuge circoscritto entro ragionevoli limiti temporali l’intervento del legislatore appare l’unica soluzione percorribile, stante l’assenza di elementi positivi sulla base dei quali operare una rilettura interpretativa del sistema. Diversamente, la possibilità di individuare nell’autoresponsabilità del coniuge economicamente debole e, in particolare, nella scelta di quest’ultimo di dare vita ad una nuova famiglia elementi capaci di eliminare posizioni di interdipendenza scaturenti dal precedente matrimonio costituisce un obiettivo che - oltre a poter essere attuato dal legislatore in una prospettiva de iure condendo - sembra possibile conseguire, allo stato attuale, anche in via interpretativa[69]. Anche sotto questo profilo, quindi, il recente mutamento d’indirizzo della Cassazione in materia di estinzione dell’assegno divorzile conseguente all’instaurazione di una nuova convivenza more uxorio da parte del beneficiario può essere osservato come un apprezzabile tassello di un disegno teso alla limitazione di perduranti posizioni di dipendenza economica tra ex coniugi ed alla valorizzazione del principio dell’autoresponsabilità.

Conclusione

L’analisi del sistema di regole predisposte dal legislatore al fine di tutelare la parte economicamente debole nell’ambito della crisi del matrimonio impone di considerare anche le crescenti istanze di ampliamento dell’autonomia dei coniugi come strumento che consenta di predeterminare le conseguenze economiche della crisi del rapporto. In questo ambito assume particolare interesse il dibattito intorno alla possibilità di configurare accordi conclusi in sede di separazione consensuale, di divorzio su domanda congiunta, di procedimenti di negoziazione assistita e persino in una fase precedente al matrimonio con i quali i coniugi incidano eventualmente anche sul profilo del mantenimento della parte economicamente debole limitandone la portata.

Indubbiamente possono cogliersi nella giurisprudenza di legittimità segnali di apertura che, da una parte, destano notevole interesse e, dall’altra, necessitano di precisazioni. Così, una decisione relativamente recente, ha confermato la validità dell’accordo con il quale i coniugi in sede di separazione consensuale avevano convenuto che il diritto al mantenimento della parte economicamente debole fosse circoscritto entro limiti di tempo predeterminati, assumendo che successivamente quest’ultima potesse conseguire una condizione di piena indipendenza[70]). Questo importante riconoscimento all’autonomia dei coniugi potrebbe essere osservato, in prima approssimazione, come un segnale di una progressiva erosione dell’orientamento secondo il quale non sono valide le intese tra coniugi volte a limitare la tutela economica riconosciuta inderogabilmente al soggetto debole. In senso contrario, tuttavia, occorre considerare che l’esigenza di tutela della parte economicamente debole dovrebbe assumere caratteri nettamente differenziati a seconda che si tratti di garantire il mantenimento di un coniuge giunto ad un’età considerevole e reduce da un matrimonio di lunga durata, di un coniuge giovane, ma al tempo stesso gravato da significativi oneri di accudimento dei figli e, infine, di un coniuge giovane, reduce da un matrimonio di breve durata e privo di compiti di accudimento dei figli. Mentre, nei primi due casi, appare opportuno garantire una tutela inderogabile alla parte economicamente debole, con riferimento al terzo sembrano affermarsi, soprattutto alla luce delle esperienze maturate in altri Paesi europei, indifferibili esigenze di valorizzare l’autoresponsabilità ed il dovere di riattivarsi, prevedendo una rigorosa limitazione temporale del diritto al mantenimento che non dovrebbe costituire una rendita a tempo indeterminato ma, più opportunamente, assolvere ad una funzione assistenziale-riabilitativa.

In quest’ottica, quindi, il consolidato orientamento che considera invalidi gli accordi funzionali a limitare o escludere l’assegno di divorzio sembra conservare, in termini generali, la sua validità se riferito alle esigenze di tutela del coniuge reduce da un matrimonio di lunga durata o nel quale si prospetti un perdurante impegno per la cura dei figli minori o non autosufficienti[71]. I capisaldi su cui esso si fonda appaiono solo in minima parte da riconsiderare in ragione delle recenti riforme che hanno valorizzato l’autonomia dei coniugi nel porre termine al rapporto matrimoniale. Così, da un lato, l’assunto secondo cui gli accordi in materia di assegno divorzile sono nulli in quanto possono condizionare il contegno processuale delle parti e, quindi, incidere indirettamente sullo status di coniuge[72] è stato motivatamente ritenuto superato[73]. D’altra parte, resta comunque difficilmente superabile l’assunto secondo cui gli accordi che prevedano una esclusione o una rinuncia dell’assegno post-matrimoniale sono invalidi in quanto incidono su una tutela da considerarsi indisponibile, in ragione della sua natura eminentemente assistenziale[74]. Proprio quest’ultimo profilo è stato ulteriormente ribadito dalla Cassazione, la quale, considerando invalida la dichiarazione con la quale la moglie aveva preventivamente rinunciato all’assegno di divorzio, ha chiaramente affermato che l’indisponibilità di questa forma di tutela trova fondamento nell’esigenza di protezione del coniuge debole[75]. Nemmeno l’introduzione di uno strumento quale la negoziazione assistita, capace di rendere maggiormente agevole il percorso che conduce alla rottura del matrimonio, può mutare i termini del dibattito e porre in dubbio l’esigenza di non comprimere quel nucleo di diritti indisponibili riconosciuti alla parte economicamente debole[76]. Al contrario l’intangibilità di tali diritti, costituendo espressione di un fondamentale principio di ordine pubblico, dovrebbe risultare ancor più accentuata in un sistema che esalta il diritto del singolo a porre fine al matrimonio[77]. Ciò porta a ribadire, in definitiva, che l’indebolimento del vincolo coniugale non affievolisce l’esigenza di garantire una tutela adeguata ed inderogabile al coniuge debole, ma, al contrario, la accentua[78]. Sembrano quindi pienamente condivisibili osservazioni di chi, ha ritenuto che le tutele garantite dalla legge non perdano il loro carattere di inderogabilità, con la conseguenza che i patti conclusi all’esito della negoziazione assistita che compromettano tali tutele risultano impugnabili, come qualsiasi contratto, per contrarietà a norme imperative[79].

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. Recebido em: 21 jun. 2017. Avaliado em: 23 jun. e 12 jul. 2017.

[1]  Per un’analitica illustrazione della disciplina delle successioni precedente la Riforma del ‘75 Casulli, Successioni (diritto civile): successione necessaria, in Noviss. Dig. it., diretto da Azara - Eula, XVIII, 1957, Torino, 787, in part. 797; Calvo, La successione del coniuge. Garanzie individuali e nuovi scenari familiari, Milano, 2010, 33.

[2]  La preminenza del marito rispetto alla moglie emergeva, ad esempio, nella disciplina del mantenimento in caso di separazione, ove una concezione dei rapporti tra marito e moglie che vedeva il primo sempre e comunque obbligato a prestare il mantenimento e configurava in capo alla seconda un analogo dovere solo nell’ipotesi in cui il marito non disponesse di risorse sufficienti (art. 156 c.c.); norma che ancor prima della Riforma fu dichiarata costituzionalmente illegittima da Corte cost. 13 luglio 1970, n. 128, in DeJure.

[3]  Sullo sfavore per i rapporti di filiazione costituiti al di fuori del matrimonio e sulla condizione dei figli illegittimi ed adulterini Azzariti, Filiazione legittima e naturale, in Noviss. Dig. it., VII, Torino, 1961, 324; Id., Adulterini e incestuosi (Figli), in Noviss. Dig. it., I, Torino, 1957, 309.

[4]  Sesta, Stato unico di filiazione e diritto ereditario, in Riv. dir. civ., 2014, 5, osserva che a seguito dell’unificazione della condizione del figlio anche la famiglia fondata sulla comune genitorialità assume un carattere pienamente legittimo a prescindere dalla circostanza che i genitori siano uniti in matrimonio.

[5]  Sesta - Valignani, Il regime di separazione dei beni, in Tratt. dir. fam. diretto da Zatti, III, a cura di Anelli - Sesta, Milano, 2012, 557, in part. 618; Oberto, sub artt. 215-219, Il regime di separazione dei beni tra coniugi, in Il codice civile. Commentario fondato da Schlesinger e continuato da Busnelli, Milano, 2005, 297 ss.

[6]  Sul punto Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia: i rapporti patrimoniali tra coniugi in generale, la comunione legale, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu - Messineo e continuato da Mengoni, VI, 1, Milano, 1979, 28; Paradiso, I rapporti personali tra coniugi, in Il codice civile. Commentario, diretto da Schlesinger, Milano, 2012, 3 ss.; Dogliotti, Uguaglianza dei coniugi, in Dig. dis.priv., sez. civ., XIX, Torino, 1999, 492; Ruscello, I diritti e i doveri nascenti dal matrimonio, in Tratt. dir. fam., diretto da P. Zatti, I, 1, 2ª ed., Milano, 2011, 1007, in part. 1058; Zatti, I diritti e i doveri che nascono dal matrimonio, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, 3, 2ª ed., Torino, 1996, 15 ss.

[7]  Sulla natura e i presupposti dell’assegno di mantenimento e di quello di divorzio Rimini, Il nuovo divorzio, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu - Messineo - Mengoni e continuato da Schlesinger, La crisi della famiglia, II, Milano, 2015, IV, 2, 108; Arrigo, Lassegno di separazione e lassegno di divorzio, in Separazione e divorzio, diretto da Ferrando, II, in Giur. sist. dir. civ. e comm. fondata da Bigiavi, Torino, 2003, 633 ss.; Totaro, Gli effetti del divorzio, in Tratt. dir. fam., diretto da Zatti, I, 2, Famiglia e matrimonio, a cura di Ferrando - Fortino - Ruscello, 2ª ed., Milano, 2011, 1607; Rossi Carleo-Caricato, La separazione e il divorzio, in Tratt. dir. priv., diretto da Bessone, IV, II, La crisi familiare, a cura di Auletta, 2ª ed., Torino, 2013, 150 e 284; Bonilini, Lassegno post-matrimoniale, in Bonilini -Tommaseo, Lo scioglimento del matrimonio,in Il codice civile. Commentario fondato da Schlesinger, diretto da Busnelli, 3ª ed., Milano, 2010, 572 ss.; Arceri, sub art. 156 c.c., in Codice della famiglia, a cura di Sesta, 3ª ed., Milano, 2015, 567; Santosuosso, Il matrimonio. Libertà e responsabilità nelle relazioni familiari, Milano, 2011, 585 e 787.

[8]  Basini, I diritti successori del coniuge separato, in Trattato di diritto delle successioni e donazioni, diretto da Bonilini, III, La successione legittima, Milano, 2009, 181; Bonilini, I diritti successori del coniuge divorziato, in Trattato di diritto delle successioni e donazioni, diretto da Bonilini, III, La successione legitti ma, Milano, 2009, 229 ss.; Restuccia, sub art. 548 c.c., in Codice delle successioni, a cura di Sesta, Milano, 2011, 926; Panuccio - Dattola, Lo status dei coniugi separati, in Tratt. dir. fam., diretto da Zatti, I, 2, 2ª ed., Milano, 2011, 1497; Albanese, sub art. 585 c.c., in Codice della famiglia, a cura di Sesta, 3ª ed., Milano, 2015, 1671.

[9]  Moretti, Lassistenza sanitaria, in Bonilini - Tommaseo, Lo scioglimento del matrimonio, in Il codice civile. Commentario fondato da Schlesinger, diretto da Busnelli, 3ª ed., Milano, 2010, 737.

[10] La lacuna di tutela che si riscontrava in caso di delibazione delle pronunce ecclesiastiche di invalidità matrimoniale concernenti rapporti caratterizzati da una prolungata convivenza come coniugi è stata colmata solo a seguito della recente decisione Cass., SS.UU., 17 luglio 2014, n. 16379, in Corr. giur., 2014, 1196, con nota di Carbone, Risolto il conflitto giurisprudenziale: tre anni di convivenza coniugale escludono lefficacia della sentenza canonica di nullità del matrimonio; in Nuova giur. civ. comm., 2015, II, 47, con nota di Quadri, Il nuovo intervento delle Sezioni Unite in tema di convivenza coniugale e delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale; in Nuova giur. civ. comm., 2015, I, 50, con nota di Roma, Ordine pubblico, convivenza coniugale e pronunce ecclesiastiche di nullità del matrimonio: le sezioni unite suppliscono allinerzia legislativa con una sostanziale modifica dellordinamento. Per un’illustrazione dello scenario successivo alla decisione delle Sezioni Unite, Ippoliti - Martini, Questioni attuali in tema di delibazione di sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio concordatario, in Corr. giur., 2015, 114.

[11] Rescigno, Il diritto di famiglia a un ventennio dalla riforma, in Riv. dir. civ.,1998, I, 113 e ora in Matrimonio e famiglia: cinquantanni del diritto italiano, Torino, 2000, 6; Sesta, Titolarità e prova della proprietà nel regime di separazione dei beni, in Familia, 2001, 871; Barbagli, La scelta del regime patrimoniale, in Barbagli - Saraceno (a cura di), Lo stato delle famiglie in Italia, II, Bologna, 1997, 105.

[12] Sulla disaffezione delle coppie italiane verso il regime legale, e sulle relative cause, si vedano anche le osservazioni Barbagli, Provando e riprovando, Bologna, 1990, 135. In argomento si veda anche Oberto, La comunione legale tra coniugi, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da Cicu - Messineo - Mengoni, continuato da Schlesinger, I, Milano, 2010, 372 ss. La disaffezione per il regime legale risulta costantemente confermata: lo studio Il matrimonio in Italia, anno 2013, pubblicato il 12 novembre 2014 consultabile sul sito dell’Istat www.istat.it/​it/​archivio/​138266, infatti, evidenzia una costante crescita dellopzione per il regime di separazione che passa dal 62,7% del 2008 al 69,5% del 2013. Per un’ulteriore conferma cfr. Separazioni e divorzi in Italia, anno 2012, pubblicato il 23 giugno 2014, reperibile all’indirizzo http://​www.istat.it/​i- t/​archivio/​126552.

[13] Sesta, Diritto di famiglia, II ed., Padova, 2005, 170.

[14] In proposito Sesta, Diritto di famiglia, cit., 170.

[15] Oberto, La responsabilità contrattuale nei rapporti familiari, Milano, 2006, 75-98.

[16] Sotto questo profilo riveste estremo interesse la previsione (art. 41) del Codi de famìlia della Catalogna secondo cui, qualora i coniugi abbiano adottato il regime di separazione dei beni, si prevede la possibilità di operare una compensazione economica in sede di divisione del patrimonio in modo che il coniuge che abbia rinunciato ad attività lavorative o formative per dedicarsi alla cura della famiglia sia adeguatamente ricompensato. In argomento v. Esther Arroyo y Amayuelas, in Matrimonio, matrimoni, a cura di Brunetta D’Usseaux - D’Angelo, Milano, 2000, 425.

[17] Sesta, Diritto di famiglia, cit., 172, che in proposito richiama Scannicchio, Beni, soggetti e famiglia nel regime patrimoniale e primario. Unanalisi comparata, Bari, 1992, 154; Blumberg, The Financial Incident of Family Dissolution, in Cross Currents, Family Law and Policy in the U.S. and England, edited by Katz - Eekelaar - Maclean, Oxford, 2000, 381; Eekelaar, Post-divorce Financial Obbligations, ivi, 405.

[18] Arrigo, Lassegno di separazione e lassegno di divorzio, cit., 656, osserva che “la tecnica legislativa ha impiegato enunciati non compiutamente determinati, ma clausole generali destinate ad essere riempite di contenuto ad opera dell’interprete”.

[19] Cass. 18 agosto 1994, n. 7437, in Rivista Famiglia e diritto, 1994, 593, con nota di Cubeddu, Comunione legale e beni personali: limiti probatori e dichiarazione di coacquisto e di Carbone, Sul concetto di adeguatezza dei redditi del coniuge separato; Cass. 14 agosto 1997, n. 7630, in Mass. Giust. civ.,1997, 1433; Cass. 29 marzo 2000, n. 3792, in Rivista Famiglia e diritto, 2000, 411, con nota di De Michel, Assegno di mantenimento e tenore di vita dei coniugi separati; Cass. 22 settembre 2011, n. 19349, in DeJure.

[20] L’orientamento, inaugurato da Cass. 18 agosto 1994, n. 7437, cit., può dirsi ormai assolutamente consolidato. In questo senso, tra le tante, Cass. 26 novembre 1996, n. 10465, in Giust. civ., 1997, I, 3140; Cass. 4 aprile 1998, n. 3490, in Giur. it., 1999, I, 1, 728, con nota di Doria, “Niente di nuovoin tema di assegno di mantenimento tra coniugi separati?; Cass. 16 giugno 2000, n. 8225, in Giur. it., 2001, 462, con nota di Castagnaro, La Cassazione si ostina a far sopravvivere uno status economico connesso ad un rapporto definitivamente estinto e a non riconoscere il carattere alimentare dellassegno; Cass. 7 marzo 2001, n. 3291, in Rivista Famiglia e diritto, 2001, 608, con nota di Naddeo, Mantenimento del coniuge separato e dovere di contribuzione tra autonomia e tutela; Cass. 24 dicembre 2002, n. 18327; Cass. 5 luglio 2006, n. 15326, cit.; Cass. 7 febbraio 2006, n. 2625; Cass. 7 febbraio 2006, n. 2626 e Cass. 9 febbraio 2015, n. 2445, tutte in DeJure.

[21] Ferrando, Le conseguenze patrimoniali del divorzio tra autonomia e tutela, cit., 722; Rossi-Carleo-Caricato, La separazione e il divorzio, cit., 281.

[22] Cass., SS.UU., 26 aprile 1974, n. 1194 , in Dir. fam.,1974, 620; Cass., SS.UU., 9 luglio 1974, n. 2008, in Dir. fam.,1974, 635, con nota di Dall’Ongaro, Sulla controversa qualificazione giuridica dellassegno di divorzio. In questo senso v. anche Cass. 7 novembre 1981, n. 5874, in Dir. fam., 1982, 429; Cass. 1° febbraio 1974, n. 263, in Dir. fam.,1974, 354, con nota di Morozzo Della Rocca, Un problema ancora insoluto: la natura dellassegno periodico di divorzio.

[23] Quadri, La natura dellassegno di divorzio dopo la riforma, in Foro it., 1989, I, 1, 2515; Id., Divorzio nel diritto civile e internazionale, in Dig. disc priv., sez. civ., VI, Torino, 1990, 537.

[24] Al riguardo costituisce ancora oggi un imprescindibile caposaldo in materia di assegno divorzile Cass., SS.UU., 29 novembre 1990, n. 11490, in Foro it., 1991, I, 1, 67, con note di E. Quadri, Assegno di divorzio: la mediazione delle sezioni unite e di Carbone, Urteildämmerung: una decisione crepuscolare (sullassegno di divorzio); tra le tante, da ultimo, Cass. 3 luglio 2014, n. 15222, in DeJure; Cass. 10 febbraio 2014, n. 2948, in DeJure; Cass. 4 novembre 2010, n. 22501, in DeJure.

[25] Così Cass., SS.UU., 29 novembre 1990, n. 11490.

[26] L’orientamento secondo cui il concetto di mezzi adeguati deve essere inteso in funzione del tenore di vita coniugale è stato inizialmente sostenuto da Cass. 17 marzo 1989, n. 1322, in Foro it., 1989, I, 1, 2512, con nota di Quadri, La natura dellassegno di divorzio dopo la riforma, mentre l’opportunità di definire il concetto di mezzi adeguati in funzione del tenore di vita dignitoso anziché di quello goduto in costanza di matrimonio è stata sostenuta da Cass. 2 marzo 1990, n. 1652, in Foro it., 1990, I, 1165, con nota di Macario, Assegno di divorzio e mezzi adeguati” e di E. Quadri, La Cassazione rimeditail problema dellassegno di divorzio; in Corr. giur.,1990, 460, con nota di Carbone, Il tenore di vitadel coniuge divorziato; Trib. Parma 12 novembre 1998, in Rivista Famiglia e diritto, 1999, 169, con nota di Bonilini, Assegno post-matrimoniale e tenore di vita coniugale. In dottrina l’orientamento restrittivo è stato sostenuto da Carbone, Levoluzione giurisprudenziale in tema di assegno di divorzio, cit., 12; Parente, Lassegno di divorzio, tra tendenza di vita paraconiugale ed esistenza libera e dignitosa, cit., 215; Bonilini, Assegno post-matrimoniale e tenore di vita coniugale, cit., 169; Id., Lassegno post-matrimoniale, cit., 585.

[27] Arrigo, Lassegno di separazione e lassegno di divorzio, cit., 686.

[28] L’orientamento espresso da Cass., SS.UU., 29 novembre 1990, n. 11490, cit., è stato ribadito in numerosissime pronunce, tra cui, da ultimo, Cass. 3 luglio 2014, n. 15222, in DeJure; Cass. 10 febbraio 2014, n. 2948, in DeJure; Cass. 4 novembre 2010, n. 22501, in DeJure.

[29] Cass. 17 marzo 1989, n. 1322, in Dir. eccl., 1989, II, 329; Cass. 29 ottobre 1998, n. 10801, in Mass. Giust. civ., 1998, 2211, sottolinea la necessità di tenere conto “nella valutazione delle condizioni economiche dei coniugi non solo dei rediti veri e propri, ma anche di tutti i cespiti patrimoniali compresi quelli immobiliari e temporaneamente improduttivi, perché tali cespiti oltre ad essere idonei ad assicurare benefici di rilevanza economica al loro titolare rappresentano comunque una entità che può essere diversamente impiegata o convertita”; Cass. 4 giugno 2001, n. 7541, in DeJure; Cass. 17 marzo 2000, n. 3101, in DeJure; Cass. 17 novembre 1999, n. 12729, in DeJure.

[30] Cass. 17 ottobre 1989, n. 4158, in Mass. Giust. civ., 1989, 10.

[31] Sul punto cfr. infra par. 6.

[32] Cass. 29 ottobre 1996, n. 9439, in Rivista Famiglia e diritto, 1996, 508, con nota di Carbone, Matrimonio effimero: lassegno non è dovuto e in Foro it., 1997, I, 1541, con nota di Quadri, Rilevanza della durata del matrimonioe persistenti tensioni in tema di assegno di divorzi. Tuttavia in questo senso si veda Cass. 4 febbraio 2009, n. 2721, in Rivista Famiglia e diritto, 2009, 682, con nota di Al Mureden, Lassegno divorzile viene attribuito dopo un matrimonio durato una settimana. Configurabilità e limiti della funzione assistenziale riabilitativa, con la quale è stata confermata la decisione di merito che aveva riconosciuto il diritto all’assegno divorzile ad un coniuge reduce da un matrimonio durato una sola settimana.

[33] Trib. Firenze 22 maggio 2013, in Rivista Famiglia e diritto, 2014, 687, con nota di Al Mureden, Il parametro del tenore di vita coniugale nel diritto viventein materia di assegno divorzile tra persistente validità, dubbi di legittimità costituzionale ed esigenze di revisione e di Morrone, Una questione di ragionevolezza: lassegno divorzile e il criterio del medesimo tenore di vita.

[34] Corte cost. 9 febbraio 2015, n. 11, in Rivista Famiglia e diritto, 2015, 537, con nota di Al Mureden, Assegno divorzile, parametro del tenore di vita coniugale e principio di autoresponsabilità.

[35] I Principles on European Family Law sono stati elaborati dalla Commission on European Family http://​ceflonline.net/​ con la finalità di individuare soluzioni tese al perseguimento della armonizzazione del diritto di famiglia nei diversi stati dell’Unione europea. Sul punto v. Cubeddu, I contributi al diritto europeo della famiglia, in Patti - Cubeddu, Introduzione al diritto della famiglia in Europa, Milano, 2008, 16.

[36] Cass. 9 ottobre 2007, n. 21099, in Rivista Famiglia e diritto, 2008, 28, con nota di La Torre, Perdita dell’affectio coniugalis e diritto alla separazione, nella quale è stato enfaticamente evocato un “diritto costituzionalmente fondato di ottenere la separazione personale e interrompere la convivenza”, ove questa sia divenuta intollerabile; Cass. 21 gennaio 2014, n. 1164, in Rivista Famiglia e diritto, 2015, 38, con nota di Tommaseo, La separazione giudiziale: basta volerla per ottenerla.

[37] Sesta, Presentazione di Al Mureden, Nuove prospettive di tutela del coniuge debole. Funzione perequativa dellassegno divorzile e famiglia destrutturata, Milano, 2007, VIII, osserva come “il fatto che il matrimonio non sia più indissolubile non può avere come conseguenza che l’ordinamento non appresti idonee garanzie di tutela a colui che in esso abbia investito le proprie risorse umane”. Questo principio, del resto, è chiaramente enunciato anche nella section 7.02 dei Principles of the Law of Family Dissolution elaborati dall’American Law Institute. Sempre in questo senso si rinvia alle articolate riflessioni di Renda, Il matrimonio civile. Una teoria neo-istituzionale, Milano, 2013, 268, il quale mette in luce che “il principio di eguaglianza dei coniugi si associa ad un vincolo che predetermina l’ordinamento intero della famiglia e che imprime alla relazione tra i coniugi il carattere della solidarietà, sottraendolo alla loro disponibilità”.

[38] Nella giurisprudenza inglese v., testualmente, Norris v. Norris, Family Division, 28 November 2002, (2002) EWHC 2996 (Fam), (2003) 2 FCR 245.

[39] Sul no-fault divorce si vedano Weitzman, The Divorce Revolution: The Unexpected Social and Economic Consequences for Women and Children in America, New York, 1985, in part. 15-51; Jacob, Silent Revolution: The Transformation of Divorce Law in the United States, Chicago, 1988; Katz, Family Law in America, New York, 2003, 82; per un’illustrazione in lingua italiana Al Mureden, Conseguenze patrimoniali del divorzio e parità tra coniugi nelle leading decisions inglesi: verso una nuova valenza dellistituto matrimoniale?, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, 212.

[40] Sul principio di uguaglianza tra coniugi Sesta, sub art. 29 Cost., in Codice della famiglia, a cura di Sesta, 3ªed., Milano, 2015, 80.

[41] Donati, La famiglia come relazione sociale, Milano, 1989, 49.

[42] È indubbiamente significativo che di questa esigenza si trovi un chiaro riconoscimento nelle osservazioni contenute nel commento ufficiale della sezione 5.05 Compensation for Primary Caretakers Residual Loss in Earning Capacity dei Principles of the Law of Family Dissolution.

[43] Cfr. Relazione al Progetto Iotti.

[44] Sesta, Diritto di famiglia, cit., 169.

[45] Sull’art. 2 Cost. v. Barbera, sub art. 2, in Commentario della Costituzione, a cura di Branca, Bologna-Roma, 1976; Morrone, sub art. 2 Cost., in Codice della famiglia, a cura di Sesta, ed., Milano, 2015, 6 ss., in part. 39; Caggia-Zoppini, sub art. 29 Cost., in Commentario alla Costituzione italiana, a cura di Bifulco – Celotto - Olivetti, Torino, 2006, 611.

[46] Bessone, Rapporti etico-sociali, in Commentario della Costituzione, a cura di Branca, Bologna-Roma, 1976, 75, sottolinea che l’art. 29 Cost., oltre a presentare “tutti gli attributi delle norme costituzionali con carattere di immediata precettività”, costituisce un punto di riferimento obbligato in funzione del quale operare la lettura di qualsiasi norma che si riferisce a rapporti familiari; Sesta, Negoziazione assistita e obblighi di mantenimento nella crisi della coppia, in Rivista Famiglia e diritto, 2015, 304. Il nesso inscindibile tra principio di eguaglianza dei coniugi e solidarietà viene efficacemente evidenziato anche da Renda, Il matrimonio civile. Una teoria neo istituzionale, cit., 245 ss., in part. 263.

[47] Corte cost. 9 febbraio 2015, n. 11, cit.

[48] Nello studio Separazioni e divorzi in Italia, anno 2012, pubblicato nel maggio 2013, reperibile all’ indirizzo http://​www.istat.it/​it/​archivio/​126552, si legge che “i tassi di separazione e di divorzio totale sono in continua crescita. Nel 1995 per ogni 1.000 matrimoni si contavano 158 separazioni e 80 divorzi, nel 2011 si arriva a 311 separazioni e 174 divorzi”. Le indagini demografiche mettono a fuoco la presenza di un rilevante numero di e divorzi in cui sono coinvolti figli minori (48,7% e 33,1%) (Separazioni e divorzi in Italia, anno 2012, cit., 11). Un altro dato rilevante, che emerge solo in parte dalle statistiche dell’ISTAT, è quello che evidenzia la diffusione del fenomeno delle seconde nozze. Anche questo dato deve essere ulteriormente integrato tenendo conto di due fattori che le statistiche disponibili non possono prendere in considerazione, ma che, cionondimeno, riveste un particolare rilievo. In particolare occorre tenere presente il considerevole aumento di separazioni e divorzi tra coniugi “giovani” (18-24% età inferiore ai 40 anni); questo dato, infatti, segnala la presenza di persone che, verosimilmente, dopo la rottura del matrimonio vivranno altre esperienze familiari di convivenza o si accosteranno ad un secondo matrimonio. Occorre poi tenere conto della presenza di un considerevole numero di persone che dopo avere avuto figli fuori dal matrimonio, si apprestano a contrarre matrimonio e a vivere una “seconda esperienza familiare”.

[49] Sesta, Lunicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, in Rivista Famiglia e diritto, 2013, 231; Id., Stato unico di filiazione e diritto ereditario, cit., 5; Prosperi, Unicità dello “status filiationis” e rilevanza della famiglia non fondata sul matrimonio, in Riv. crit. dir. priv., 2013, 273.

[50] Sesta, Lunicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, cit., 231.

[51] Al Mureden, La responsabilità genitoriale tra condizione unica del figlio e pluralità di modelli familiari, in Rivista Famiglia e diritto, 2014, 466.

[52] Al Mureden, Conseguenze patrimoniali del divorzio e parità tra coniugi nelle leading decisions inglesi: verso una nuova valenza dellistituto matrimoniale?, cit., 230. Per un’approfondita analisi comparatistica sul “significato giuridico del matrimonio” nei diversi paesi dell’UE v. Waaldijk, More or Less Together: Levels of legal consequences of marriage, cohabitation and registered partnership for different-sex and same-sex partners, Paris, 2005.

[53] Corte cost. 24 ottobre 2007, n. 348 e 349, in Giur. it., 2008, 573, con nota di Conforti, La Corte costituzionale e la CEDU nella sentenza n. 348/​2007: Orgoglio e pregiudizio?

[54] Cass. 19 marzo 2014, n. 6289, in Rivista Famiglia e diritto, 2015, 470, con nota di Buzzelli, Assegno di divorzio e nuova famiglia dellobbligato.

[55] Renda, Il matrimonio civile. Una teoria neo-istituzionale, cit., 264-265, attraverso una lettura coordinata degli artt. 2 e 29 Cost., chiarisce che “i coniugi sono soggetti eguali tenuti a reciproca solidarietà” e che la solidarietà familiare assume un carattere ancor più specifico della solidarietà sociale. Essa infatti non si esplica tra estranei, ma tra soggetti compartecipi che “hanno instaurato una comunione integrale di vita”.

[56] Cass. 9 ottobre 2007, n. 21099, cit.

[57] Cosi si esprime l’ordinanza di remissione (Trib. Firenze 22 maggio 2013, in Rivista Famiglia e diritto, 2014, 687, cit.).

[58] Cubeddu, Il divorzio, in Patti - Cubeddu, Diritto della famiglia, Milano, 2011, 628, osserva che in alcuni ordinamenti europei si è consolidata una regola in ragione della quale è istituita una “graduazione tra i soggetti aventi diritto a prestazioni contributive” a seguito della crisi della famiglia. In particolare, l’A. rileva che “uno specifico criterio è stato accolto dai princi pi di diritto europeo della famiglia sul divorzio e il mantenimento tra ex coniugi”. Il punto 2:7, infatti, contempla la fattispecie in cui il medesimo soggetto sia gravato dall’obbligo di mantenere persone appartenenti a nuclei familiari formati in tempi successivi. In questo caso la capacità del coniuge obbligato di soddisfare i bisogni dell’ex coniuge economicamente debole deve essere “graduata” anche tenendo in considerazione le eventuali esigenze di mantenimento che scaturiscano dalla formazione di una seconda famiglia e quindi gli obblighi assunti nei confronti del nuovo coniuge e, in via prioritaria, gli obblighi di mantenimento dei figli minori.

[59] Cass. 3 aprile 2015, n. 6855, in Rivista Famiglia e diritto, 2015, 553, con nota di Ferrando, Famiglia di fatto e assegno di divorzio. Il nuovo indirizzo della Corte di Cassazione; in Nuova giur. civ. comm., 2015, I, 681, con nota di Al Mureden, Formazione di una nuova famiglia non matrimoniale ed estinzione definitiva dellassegno di divorzio. Sul punto v. anche le considerazioni di Quadri, Aspetti economici postconiugali e dinamiche esistenziali, in Nuova giur. civ. comm., 2015, II, 375. In senso analogo, da ultimo, Cass. 9 settembre 2014, n. 17856, in DeJure; Cass. 8 settembre 2015, n. 17811, in DeJure.

[60] Cass. 11 agosto 2011, n. 17195, in Guida dir., 2011, 63, con nota di Vaccaro, Il coniuge divorziato perde il mantenimento se instaura una convivenza stabile con un altro; Cass. 18 novembre 2013, n. 25845, in DeJure; Cass. 12 marzo 2012, n. 3923, in DeJure.

[61] Al Mureden, Il diritto a formare una seconda famigliatra doveri di solidarietà post-coniugale e principio di autoresponsabilità”, in Rivista Famiglia e diritto, 2014, 1043.

[62] Sullo schema di testo unificato proposto alla Commissione Giustizia del Senato il 24 giugno 2014, recante “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze” si vedano le osservazioni di Oberto, I contratti di convivenza nei progetti di legge (ovvero sullimprescindibilità di un raffronto tra contratti di convivenza contratti prematrimoniali), in Rivista Famiglia e diritto, 2015, 165.

[63] Sul punto v. Patti, I rapporti patrimoniali tra coniugi. Modelli europei a confronto, in Il nuovo diritto di famiglia, Trattato diretto da Ferrando, II, Bologna, 2008, 229; Id., Obbligo di mantenere e obbligo di lavorare, in Introduzione al diritto della famiglia in Europa, Milano, 2008, 309; Ferrando, Le conseguenze patrimoniali del divorzio tra autonomia e tutela, in Dir. fam., 1998, 728; Cubeddu, Lo scioglimento del matrimonio e la riforma del mantenimento tra ex coniugi in Germania, in Familia, 2008, 22, la quale illustra la riforma del mantenimento operata nell’ordinamento tedesco il 1° gennaio 2008 ed il principio dell’autoresponsabilità; Ronfani, Recensione a Al Mureden, Nuove prospettive di tutela del coniuge debole. Funzione perequativa dellassegno divorzile e famiglia destrutturata, Milano, 2007, cit., 193.

[64] Cubeddu, Solidarietà e autoresponsabilità nel diritto di famiglia, in Patti - Cubeddu, Introduzione al diritto della famiglia in Europa, cit., 153, in part. 170; Ead., I principi europei su divorzio e il mantenimento tra ex coniugi, ivi,271.

[65] Blumberg, The Financial Incidents of Family Dissolution, cit., 393 ss.

[66] In questo senso in più trattazioni si richiamano le incisive parole di Lord Scarman nella decisione Minton v Minton [1979] AC 593, 608: “An object of the modern law is to encourage [the parties] to put the past behind them and to begin a new life which is not overshadowed by the relationship which has broken down”.

[67] L’importanza del criterio della durata del matrimonio è sottolineata da Quadri, I rapporti patrimoniali tra i coniugi a trentanni dalla riforma del diritto di famiglia, in Familia, 2006, 34, il quale mette in luce come sia significativo il fatto che la L. francese n. 2004-439 del 26 maggio 2004 abbia messo in risalto la rilevanza di questo criterio collocandolo al primo posto tra quelli funzionali a determinare la prestation compensatori re (art. 271 code civil).

[68] Cfr. l’art. 275 c.c., modificato dalla L. n. 2004-439, in vigore dal 1° gennaio 20055, ai sensi del quale “Lorsque le débiteur n’est pas en mesure de verser le capital dans les conditions prévues par l’article 274, le juge fixe les modalités de paiement du capital, dans la limite de huit années, sous forme de versements périodiques indexés selon les règles applicables aux pensions alimentaires”.

[69] Cass., SS.UU., 29 novembre 1990, n. 11490, cit.; Cass. 1° dicembre 1993, n. 11860.; Cass. 6 agosto 1997, n. 7269; Cass. 4 novembre 1997, n. 10791; Cass. 16 giugno 2000, n. 8225; Cass. 4 giugno 2001, n. 7541; Cass. 17 gennaio 2002, n. 432; Cass. 27 settembre 2002, n. 14004; Cass. 12 febbraio 2003, n. 2076; Cass. 28 gennaio 2004, n. 1487, tutte in DeJure.

[70] Cass. 6 giugno 2014, n. 12781, in Rivista Famiglia e diritto, 2015, 685, con nota di Grazzini, Assegno di mantenimento a tempofra autosufficienza economicae rinuncia al diritto. Sul punto cfr. infra V, II, 4.

[71] Così Cass. 11 giugno 1981, n. 3777, in Giur. it., 1981, I, 1553, con nota di Trabucchi, Assegno di divorzio: attribuzione giudiziale e disponibilità degli interessati; Cass. 20 maggio 1985, n. 3080, in Giur. it., 1985, I, 1, 1456, con nota di Di Loreto; in Foro it., 1986, I, 747, con nota di Quadri, Orientamenti in tema di svalutazione dellassegno di divorzio e svalutazione monetaria; Cass. 19 novembre 1987, n. 8502, in Giur. it., 1988, I, 1, 2014, con nota di Loy; Cass. 11 dicembre 1990, n. 11788, in Giur. it., 1992, I, 1, 156, con nota di Cecconi; Cass. 4 giugno 1992, n. 6857, in Corr. giur.,1992, 863, con nota di Carbone, Lassegno di divorzio tra disponibilità e indisponibilità; in Giur. it., 1993, I, 1, 340, con nota di Dalmotto, Indisponibilità sostanziale e disponibilità processuale dellassegno di divorzio; Cass. 20 settembre 1991, n. 9840, in Giur. it., 1992, I, 1, 1078, con nota di Carosone; Cass. 28 ottobre 1994, n. 8912, in Rivista Famiglia e diritto, 1995, 14, con nota di Uda, Sullindisponibilità del diritto allassegno di divorzio; Cass. 7 settembre 1995, n. 9416, in Vita not., 1995, 1356; Cass. 11 giugno, 1997, n. 5244, in Giur. it., 1998, 218, con nota di Ermini; Cass. 20 marzo 1998, n. 2955, in I contratti, 1998, 472, con nota di Bonilini, Gli accordi in vista del divorzio. Da ultimo Cass. 21 dicembre 2012, n. 23713, in Rivista Famiglia e diritto, 2013, 321, con nota di Oberto, Gli accordi prematrimoniali in cassazione, ovvero quando il distinguishing finisce nella haarspaltemaschine; in Nuova giur. civ. comm., 2013, 442, con nota di Grazzini, Accordi in vista del divorzio: la crisi coniugale fra causa geneticaed evento condizionaledel contratto. Sull’argomento v. anche Russo, Il potere di disposizione dei diritti inderogabili. riflessioni sul giudizio di meritevolezza degli accordi prematrimoniali regolativi della crisi della famiglia, in Rass. dir. civ., 2014, 2, 459; Giliberti, Gli accordi della crisi coniugale in bilico tra le istanze di conservazione e la tutela dellautonomia dei coniugi, in Dir. fam. e pers., 2014, 1, 476.

[72] Coppola, Accordi in vista della pronunzia di divorzio, in Bonilini - Tommaseo, Lo scioglimento del matrimonio, in Il codice civile. Commentario fondato da Schlesinger, diretto da Busnelli, 3ª ed., Milano, 2010, 732-733.

[73] Sul punto si vedano le considerazioni di Rimini, Il nuovo divorzio, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu -Messineo - Mengoni e continuato da Schlesinger, La crisi della famiglia, II, Milano, 2015, 246 ss., il quale ricava dalla recente Riforma in materia di negoziazione assistita un argomento funzionale a sostenere l’ammissibilità di intese preventive concluse dagli sposi nella fase precedente il matrimonio che abbiano ad oggetto le conseguenze economiche di una futura crisi coniugale. In argomento v. anche Arrigo, Lassegno di separazione e lassegno di divorzio, cit., 715-733.

[74] Bargelli, Lautonomia privata nella famiglia legittima: il caso degli accordi in occasione o in vista del divorzio, in I contratti di convivenza a cura di Moscati - Zoppini, Torino, 2002, 50, afferma che il controllo giudiziale sugli accordi concernenti l’assegno si giustifica in ragione della “funzione sociale” di quest’ultimo.

[75] Cass. 12 febbraio 2003, n. 2076, in Rivista Famiglia e diritto, 2003, 344, con nota di Piccaluga, Rapporti patrimoniali tra coniugi e divorzio, in cui si ribadisce che “il principio secondo il quale gli accordi dei coniugi diretti a fissare, in sede di separazione, il regime giuridico del futuro ed eventuale divorzio, sono nulli per illiceità della causa, anche nella parte in cui concernono l’assegno divorzile - che per la sua natura assistenziale è indisponibile - in quanto diretti, implicitamente o esplicitamente, a circoscrivere la libertà di difendersi nel giudizio di divorzio, trova fondamento nell’esigenza di tutela del coniuge debole, la cui domanda di assegnazione dell’assegno divorzile potrebbe essere da detti accordi paralizzata o ridimensionata”.

[76] Peraltro, in senso contrario, Rimini, Il nuovo divorzio, cit., 246, ritiene che la recente riforma in materia di negoziazione assistita costituisca un elemento di novità sulla base del quale sostenere l’ammissibilità di accordi con i quali i coniugi possano disporre dell’assegno post-matrimoniale.

[77] Questo principio, del resto, è stato ribadito di recente dalla Cassazione a Sezioni Unite (Cass., SS.UU., 17 luglio 2014, n. 16379, cit.) che ha risolto una complessa questione relativa alla delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio. Più specificamente la S.C. - colmando una lacuna di tutela in ragione della quale la parte economicamente debole che aveva dedicato un significativo numero di anni ad un rapporto caratterizzato da un’effettiva convivenza come coniugi poteva talvolta disporre di un mantenimento limitato a soli tre anni - ha sancito l’impossibilità di delibare pronunce ecclesiastiche di invalidità del matrimonio riferite a rapporti matrimoniali caratterizzate da una significativa stabilità e, segnatamente, da una convivenza come coniugi protratta per almeno un triennio. Questa soluzione è stata motivata proprio sottolineando che i principi costituzionali e le disposizioni di legge ordinaria che regolano il matrimonio attribuiscono la valenza di norme di ordine pubblico italiano alle tutele apprestate dall’art. 156 c.c. e dell’art. 5, comma 6, L. div. In definitiva la Cassazione ha ribadito che l’assegno di mantenimento e l’assegno divorzile assurgono a unici strumenti capaci di ridurre e limitare le disuguaglianze tra i coniugi al momento della rottura dell’unione e pertanto non possono essere considerati disponibili.

[78] Cfr. Commento ufficiale della section 7.02 dei Principles of the Law of Family Dissolution. Sull’idea per cui il matrimonio costituirebbe un “segnale” circa il fatto che i partners hanno deciso di intraprendere una relazione duratura sulla quale fare reciprocamente affidamento.

[79] Sesta, Negoziazione assistita e obblighi di mantenimento nella crisi della coppia, cit., 303.