Professore
Assistente dell’Università di Bologna.
RIASSUNTO: Il sistema di regole ideato
dal legislatore nella prima metà degli anni Settanta al fine di garantire
un’adeguata tutela al coniuge al termine del matrimonio appare
ispirato ad un paradigma di famiglia e di crisi
coniugale che, seppur
ancora presente e diffuso, ha gradualmente lasciato
spazio a modelli di famiglia “nuovi” caratterizzati da una instabilità
della coppia e da una marcata tendenza alla ricomposizione di nuclei familiari successivamente alla dissoluzione del matrimonio. I mutamenti della
famiglia percepibili nella
prospettiva delle scienze
sociali e in larga misura recepiti da recenti interventi legislativi sembrano indicare,
pertanto, una complessiva esigenza di ripensamento delle regole che governano la solidarietà post-coniugale e del “diritto
vivente” formatosi soprattutto con riferimento alle previsioni in
materia di assegno di mantenimento ed
assegno post-matrimoniale. Ripensamento che, senza compromettere la fondamentale esigenza
di garantire un’adeguata tutela al coniuge
che abbia investito un considerevole periodo
di vita nell’esperienza matrimoniale, consenta di individuare soluzioni funzionali a modulare il diritto al mantenimento valorizzando il principio
dell’autoresponsabilità e limitando, ove opportuno, la persistenza a tempo indeterminato di vincoli di solidarietà tra gli ex coniugi.
PAROLE CHIAVE: Diritto di famiglia. Nuovi modelli di famiglia. Solidarietà post-conjugali. Principio dell’autoresponsabilità.
RESUMO: O sistema de
regras criadas pelo legislador na primeira metade dos anos setenta, a fim de
assegurar uma proteção adequada ao cônjuge depois do casamento parece inspirado
por um paradigma da família e crise conjugal que, embora ainda presente e
difundida, tem gradualmente deu lugar em padrões familiares “nova”
caracterizada por um par de instabilidade e uma tendência acentuada para a
recomposição das famílias após a dissolução do casamento. A família muda
perceptível na perspectiva das ciências sociais e em grande parte endossado por
ações legislativas recentes parecem indicar, portanto, uma necessidade geral de
repensar as regras que governam a solidariedade pós-conjugal e de “direito
vivo” formado especialmente com referência às disposições sobre pensão
alimentícia e cheque pós-conjugal. Adendo que, sem comprometer o requisito
fundamental para assegurar a proteção adequada para o cônjuge que tem investido
um considerável período de vida experimentada na cama, permitindo a
identificação de soluções funcionais para modular o direito de manutenção
aumentando o princípio da autorresponsabilidade e limitando, onde apropriadas,
a persistência indefinidamente os laços de solidariedade entre os ex-cônjuges.
PALAVRAS-CHAVE: Direito
de família. Novos modelos da família. Solidariedade pós-conjugal. Princípio da autorresponsabilidade.
ABSTRACT: The
system of rules created by the legislator in the first half of the seventies in
order to ensure adequate protection for the spouse at the end of marriage seems
inspired by a family paradigm and marital crisis that, although still present
and diffused, gradually Leaving room for “new” family models characterized by
an instability of the couple and a marked trend towards the recomposition of
family nucleuses after the dissolution of marriage. Changes in the family
perceptible in the perspective of social sciences and to a large extent
transposed by recent legislative measures seem to indicate a total need for
rethinking the rules governing post-marital solidarity and the “living right”
formulated above all with reference to the forecasts In the case of maintenance
allowance and post-maternity allowance. Recalling that, without compromising
the fundamental need to ensure adequate protection for a spouse who has
invested a considerable amount of time in matrimonial experience, it is
possible to identify functional solutions to modify the right to maintenance by
enhancing the principle of self-responsibility and limiting, The indefinite
persistence of solidarity constraints among the former spouses.]
KEYWORDS:
Family law. New Family Models. Post-conjugal solidarity. Principle of self-responsibility.
L’articolata
disciplina concernente la solidarietà post-coniugale ha costituito uno degli
aspetti maggiormente significativi della Riforma del ’75. Il legislatore,
infatti, era chiamato a rimodellare in funzione dei principi costituzionali un
complesso di regole che nel sistema previgente erano funzionali ad assicurare
un’adeguata tutela successoria del coniuge superstite[1] ed il diritto al
mantenimento del coniuge separato nell’ambito di un rapporto matrimoniale che
si caratterizzava per l’indissolubilità del vincolo, per la preminenza del
marito[2] sulla moglie e per un
favor per l’unione coniugale, che si manifestava in previsioni funzionali ad
escludere o limitare nella massima misura possibile le interferenze determinate
dalla creazione di rapporti affettivi e di filiazione al di fuori del
matrimonio o costituiti contemporaneamente ad esso[3].
In quel
contesto non si poneva l’esigenza di garantire la parità tra i coniugi, né
quella di assicurare un’identica tutela ai figli nati da una coppia coniugata
ed a quelli nati da genitori non uniti in matrimonio, né, infine, quella di
conseguire un’equilibrata suddivisione delle risorse tra nuclei familiari che
si sovrapponessero nel tempo; infatti, stante l’indissolubilità del matrimonio,
la coesistenza di nuclei familiari legittimi fondati su un primo matrimonio, in
seguito sciolto, e su un secondo matrimonio contratto in epoca successiva
risultava circoscritta alla sola ipotesi della vedovanza. Pertanto, erano radicalmente
escluse situazioni nelle quali potesse porsi il problema di conciliare i doveri
scaturenti dalla solidarietà post-coniugale nei confronti dell’ex coniuge con
l’adempimento dei doveri matrimoniali nei riguardi del secondo coniuge.
Le profonde
trasformazioni che precedettero ed accompagnarono la Riforma del ’75 imposero
al legislatore l’esigenza di delineare un complesso sistema di regole
funzionale all’attuazione della solidarietà post-coniugale coerente con il
principio costituzionale dell’uguaglianza tra coniugi (art. 29 Cost.) e capace
di fornire una tutela adeguata sia in caso di dissoluzione del matrimonio per
morte, sia nelle ipotesi di separazione, divorzio ed invalidità.
A distanza di
quarant’anni dalla Riforma questo sistema di regole appare sotto alcuni profili
tuttora attuale, ma, al tempo stesso, sembra necessitare di integrazioni e
correttivi funzionali a fornire un’adeguata soluzione alle esigenze poste
dall’affermarsi di nuovi modelli familiari caratterizzati da una significativa
instabilità della coppia e dalla tendenza alla ricomposizione di nuclei
familiari nuovi successivamente alla crisi del rapporto matrimoniale.
In
quest’ottica, l’analisi del sistema della solidarietà post-coniugale sembra
dover essere condotta tenendo conto, anzitutto, del paradigma della famiglia
coniugale unita nell’ambito della quale la crisi del rapporto era concepita dal
legislatore del ’75 alla stregua di una “fase patologica” destinata a sfociare
nella separazione o, al più, nel definitivo scioglimento del matrimonio.
Accanto a questa prospettiva, inoltre, occorre considerare quella, ormai sempre
più estesa, della complessità di modelli familiari caratterizzata dalla
presenza di famiglie “legittime” non necessariamente cementate da un’unione
matrimoniale dei genitori[4] e comunque soggette ad una
crescente instabilità del rapporto di coppia e ad una propensione a formare
nuclei familiari ulteriori. Proprio in quest’ottica sembra imporsi la necessità
di una parziale riconsiderazione di regole e orientamenti giurisprudenziali
consolidati, così da poter garantire un’efficace attuazione dei principi
costituzionali che governano i rapporti tra coniugi anche in un contesto
significativamente mutato rispetto a quello che costituì un modello sulla base
del quale fu concepita, quarant’anni orsono la disciplina della solidarietà
post-coniugale.
L’intenzione di
garantire l’attuazione del principio della parità tra i coniugi (art. 29 Cost.)
e l’esigenza di predisporre una adeguata tutela della parte debole emergono
chiaramente nei lavori preparatori del sistema delineato dal legislatore del
1975 e in parte della legge sul divorzio e si concretizzano in una risposta
articolata su differenti piani.
Riguardo al
regime secondario-distributivo la comunione legale prevede la compartecipazione
agli acquisti compiuti in costanza di matrimonio dai coniugi insieme o
separatamente (artt. 177-178 c.c.).
Anche con
riferimento al regime di separazione si riscontra un riconoscimento
dell’apporto paritario dei partners durante il matrimonio laddove l’art. 219,
comma 2, c.c. dispone che “i beni di cui nessuno dei coniugi può dimostrare la
proprietà esclusiva sono di proprietà indivisa per pari quota di entrambi i
coniugi”[5].
L’importanza
del lavoro domestico emerge, poi, nel disposto dell’art. 230 bis c.c., secondo
cui la qualità di partecipante all’attività di impresa ed i relativi diritti
spettano al familiare che “presta in modo continuativo la sua attività di
lavoro nella famiglia o nell’impresa”.
L’attuazione
del principio di parità tra i coniugi (art. 29 Cost.) trova il suo più
significativo riconoscimento nel carattere inderogabile del regime primario
contributivo. In questo contesto il dovere di “contribuire ai bisogni della
famiglia” che ciascun coniuge è chiamato ad assolvere “in relazione alle
proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo”
nella fase fisiologica del matrimonio (art. 143, comma 3, c.c.)[6], può persistere anche
nella separazione - trasformandosi nel dovere di corrispondere un assegno di
mantenimento a favore del coniuge “che non abbia adeguati redditi propri” e “a
cui non sia addebitabile la separazione” (art. 156, comma 1, c.c.) - ed
estendersi anche oltre lo scioglimento del matrimonio, atteso che all’ex
coniuge divorziato è riconosciuto il diritto a ricevere periodicamente un
assegno qualora non disponga di mezzi adeguati o comunque non possa
procurarseli per ragioni oggettive (art. 5, comma 6, L. div.)[7].
A completare il
quadro delineato si aggiungono anche altre previsioni che confermano il
principio secondo cui il matrimonio può garantire tutele patrimoniali che
persistono ben oltre la sua dissoluzione. Così, il coniuge separato a cui non
sia addebitata la separazione conserva i diritti successori (artt. 548 e 585
c.c.), l’ex coniuge divorziato[8] non passato a nuove nozze
e titolare di assegno post-matrimoniale ha diritto ad una percentuale
dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro (art. 12 bis, comma 1, L.
div.), alla pensione di reversibilità (art. 9, commi 2 e 3, L. div.) e, se in
stato di bisogno, ad un assegno periodico a carico dell’eredità (art. 9 bis, L.
div.); infine l’ex coniuge a cui “non spetti l’assistenza sanitaria per nessun
altro titolo, conserva il diritto nei confronti dell’ente mutualistico da cui
sia assistito l’altro coniuge” (art. 5, comma 11, L. div.)[9].
Con riferimento
all’ipotesi in cui venga dichiarata la nullità del matrimonio è prevista una
disciplina specifica per il mantenimento (artt. 129-129 bis c.c.), ma nulla è
disposto con riferimento alle conseguenze della pronuncia di nullità sul regime
patrimoniale, né sul rapporto di impresa familiare. Come si osserverà, sembra
che, nonostante l’analitico sistema di previsioni appena indicate, le esigenze
di tutela del coniuge debole non possano dirsi realizzate in modo soddisfacente
e l’attuazione del principio costituzionale della parità non appaia pienamente
raggiunta proprio con specifico riferimento al momento della crisi coniugale, a
quello della dissoluzione del matrimonio a seguito del divorzio, infine alle
ipotesi della dichiarazione di nullità[10].
In primo luogo
non appare sufficientemente tutelato il coniuge che nel corso di un matrimonio
di lunga durata abbia sacrificato le proprie aspirazioni professionali per
dedicarsi alla cura della famiglia. Inoltre sembra che nel sistema di regole
introdotto dalla Riforma del ’75 e dalla legge sul divorzio non sia stato
tenuto nella dovuta considerazione il fatto che le esigenze di organizzare la vita
della famiglia possono persistere anche durante la crisi del matrimonio e dopo
la sua dissoluzione; cosicché si può affermare che non abbia trovato adeguato
riconoscimento l’impegno richiesto al genitore che in questa fase continui a
farsi prevalentemente carico della cura dei figli e non siano stati
compiutamente considerati i riflessi negativi che tale ruolo può indirettamente
determinare sulla sua sfera personale e patrimoniale.
Peraltro anche
la diversa esigenza di evitare di dar vita ad ingiustificate rendite di
posizione fondate su rapporti matrimoniali di breve durata ha indotto,
soprattutto in tempi recenti, ad operare una revisione delle regole che
governano la tutela del coniuge debole e a valorizzare il principio
dell’autoresponsabilità.
In definitiva,
quindi, sembra porsi una indifferibile esigenza di differenziare, anzitutto, le
tutele offerte alla parte economicamente debole nel contesto della separazione
ed in quello del divorzio, quindi, con specifico riferimento alla posizione
degli ex coniugi divorziati, di modulare il “sacrificio” richiesto alla parte
economicamente forte sulla base di un rigoroso riferimento alla durata del
rapporto matrimoniale ed alle condizioni della parte debole.
L’aspirazione
ad assegnare alla comunione legale la funzione di strumento di attuazione del
principio della parità tra i coniugi, significativamente avvertita all’epoca
della Riforma, può considerarsi scarsamente attuata a quarant’anni di distanza.
Le scienze sociali hanno evidenziato una progressiva disaffezione dei coniugi
rispetto al regime legale, che è stata incisivamente definita alla stregua di
una “fuga” dalla comunione alla separazione dei beni[11] e che testimonia come una
parte sempre più rilevante del corpo sociale non trovi nel regime legale le
risposte alle proprie esigenze[12]. In effetti, l’incapacità
della comunione di attuare un’effettiva compensazione dei sacrifici affrontati
da ciascun coniuge nell’interesse della famiglia emerge con evidenza qualora si
prenda in considerazione il problema dell’allocazione di quella nuova forma di
ricchezza oggi sempre più rilevante costituita dalle capacità di reddito dei
coniugi. Nella maggior parte dei casi, i sacrifici compiuti da entrambi i
coniugi mirano non tanto alla costituzione di un patrimonio in senso
tradizionale (e cioè formato da beni mobili o immobili suscettibili di essere
valutati e ripartiti), quanto all’acquisizione da parte di uno di essi di
significative capacità professionali e quindi di reddito, da cui dovrebbe
derivare un elevato tenore di vita per la famiglia. Ciò fa sì che al momento
della crisi e della dissoluzione del matrimonio il capitale costituito dalle
accresciute capacità professionali di uno dei coniugi risulti “invisibile” dal
punto di vista del regime di comunione, concepito per attuare la compensazione
con esclusivo riferimento ad un patrimonio inteso in senso tradizionale.
Da ultimo,
muovendo dalla constatazione di una significativa e crescente diffusione
sociale del regime della separazione, la dottrina più attenta alle esigenze di
protezione del coniuge debole sottolinea “la necessità di un intervento
legislativo che introduca correttivi al regime patrimoniale primario, tenuto
conto che il regime di separazione dei beni può, in taluni casi e per taluni
profili, dar luogo ad inconvenienti o veri e propri gravi pregiudizi per i
familiari deboli”[13]. A questo proposito si
auspica l’introduzione di previsioni che consentano di rafforzare, sotto
diversi profili, la tutela offerta al coniuge debole. Così si sottolinea
l’opportunità che, similmente a quanto accade in altri ordinamenti,
“determinati beni - come la casa di abitazione della famiglia - ancorché di
proprietà individuale” risultino “protetti dalle decisioni unilaterali del
coniuge proprietario che possono gravemente pregiudicare i diritti dell’altro
coniuge e dei figli”[14]; che sia prevista la
regola della solidarietà fra coniugi per le obbligazioni contratte singolarmente
nell’interesse della famiglia[15]; che con particolare
riferimento alla fase della crisi coniugale, si introducano previsioni che,
indipendentemente dal regime patrimoniale prescelto[16], consentano, “in caso di
rottura del matrimonio, una equa allocazione della ricchezza familiare, come
avviene nei matrimoni di common law”[17].
In ogni caso,
stante il carattere inderogabile del regime di comunione, nel sistema normativo
attuale, l’assegno di mantenimento e l’assegno divorzile costituiscono gli
unici strumenti ai quali è affidata inderogabilmente l’attuazione della
solidarietà postconiugale e dell’equa divisione delle risorse tra coniugi
separati ed ex coniugi divorziati.
Come
anticipato, il dovere di “contribuire ai bisogni della famiglia” che ciascun
coniuge è chiamato ad assolvere “in relazione alle proprie sostanze e alla
propria capacità di lavoro professionale o casalingo” nella fase fisiologica
del matrimonio (art. 143, comma 3, c.c.), può persistere anche nella
separazione - trasformandosi nel dovere di corrispondere un assegno di
mantenimento (art. 156, comma 1, c.c.) a favore del coniuge “che non abbia
adeguati redditi propri” e “a cui non sia addebitabile la separazione”.
Sul piano interpretativo
la lettura di questa norma ha dato luogo a notevoli incertezze anzitutto con
riguardo al problema di individuare un parametro di riferimento in relazione al
quale commisurare l’adeguatezza dei mezzi del richiedente[18].
L’orientamento ormai
consolidato nella giurisprudenza di legittimità è nel senso di affermare che
nel contesto della separazione si “instaura un regime che - a differenza del
divorzio - tende a conservare il più possibile tutti gli effetti del matrimonio
compatibili con la cessazione della convivenza e, quindi, il tenore e il tipo
di vita di ciascun coniuge”[19].
Proprio in
questa prospettiva, ribadendo l’idea di una marcata persistenza del dovere di
contribuzione anche successivamente alla cessazione della convivenza coniugale,
la S.C. ha chiarito che, ai fini della valutazione di adeguatezza dei redditi
del soggetto che invoca l’assegno, il parametro di riferimento è costituito
dalle potenzialità economiche complessive dei coniugi durante il matrimonio; e
che ad esso occorre riferirsi anche per individuare e definire la qualità delle
esigenze e l’entità delle aspettative del richiedente. L’orientamento secondo
cui “il tenore di vita matrimoniale deve essere determinato in funzione di
quello che il coniuge economicamente forte aveva il dovere di consentire
all’altro in relazione alle sostanze di cui disponeva anziché al più modesto
tenore di vita eventualmente tollerato in costanza di matrimonio”[20].
Anche riguardo
all’assegno post-matrimoniale - così come per l’assegno di mantenimento - si
riscontrano indicazioni contraddittorie, che riflettono la difficoltà di
individuare un convincente equilibrio tra l’esigenza di tutela del coniuge
debole e quella di non gravare eccessivamente l’altro[21] e danno luogo a notevoli
incertezze soprattutto riguardo all’idoneità a realizzare un’equa divisione dei
costi che comporta la vita della famiglia dopo il divorzio.
La formulazione
dell’art. 5, comma 6, L. div. introdotta dalla L. 6 marzo 1987, n. 74 - che
prevede “l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore
dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non
può procurarseli per ragioni oggettive” tenuto conto “delle condizioni dei
coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico
dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di
ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i
suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio” - da una parte
ha notevolmente semplificato la questione interpretativa concernente la natura
dell’assegno che si era prospettata sotto la vigenza del testo originario, ma,
dall’altra, ha lasciato aperta quella relativa al criterio in funzione del
quale individuare l’inadeguatezza dei mezzi del richiedente e quella della
valenza da attribuire agli altri criteri. Così si deve considerare superato
l’orientamento che - sotto la vigenza del testo poi modificato dalla L. 6 marzo
1987, n. 74 - propendeva per la natura composita[22]. E sebbene non siano
mancate perplessità[23], la natura assistenziale
dell’assegno post-matrimoniale appare ormai indiscussa[24]. Come ha incisivamente
precisato la S.C.: “il rapporto di consequenzialità fra la mancanza dei mezzi
adeguati ed il diritto all’assegno assume carattere esclusivo, nel senso che
per l’attribuzione dell’assegno nessun’altra ragione può avere rilievo”[25].
Maggiori
incertezze si sono manifestate riguardo all’individuazione del parametro al
quale rapportare il concetto di mezzi adeguati. Al riguardo era emersa una
contrapposizione tra l’orientamento secondo cui l’assegno post-matrimoniale
doveva essere attribuito qualora il coniuge richiedente non disponesse di
“mezzi economici adeguati per permettergli di conservare un tenore di vita
analogo a quello goduto in costanza di matrimonio” e quello in ragione del
quale l’adeguatezza dei mezzi non deve essere riferita al tenore di vita
matrimoniale, ma al parametro della vita libera e dignitosa[26]. Contrapposizione che le
Sezioni Unite, ormai venticinque anni orsono, hanno risolto adottando una
soluzio ne che consente, da un lato, di garantire la tutela del coniuge debole
- laddove l’assegno di divorzio viene concepito come rimedio al deterioramento
delle precedenti condizioni economiche in dipendenza del divorzio - senza
dimenticare, dall’altro, la preoccupazione di evitare il crearsi di rendite
parassitarie ed ingiustificate proiezioni del rapporto patrimoniale ormai
venuto meno[27].
Proprio all’attuazione di queste esigenze è funzionale l’idea di concepire un
giudizio scomposto in una “prima fase logica” nella quale il giudice - dopo
aver comparato la condizione economica del richiedente goduta nel momento
precedente la cessazione della convivenza e quella determinatasi al momento
della pronuncia di divorzio - individua quanto astrattamente necessario a
quest’ultimo al fine di evitare un sensibile deterioramento del tenore di vita,
ed una “seconda fase” in cui, il “tetto massimo” della misura dell’assegno
determinato in astratto, viene poi sottoposto al vaglio degli altri criteri
predisposti dall’art. 5, comma 6, L. div., al fine di quantificarne in concreto
la misura[28].
Dall’analisi della casistica giurisprudenziale, in effetti, emerge che il ri
corso ai criteri indicati dall’art. 5 L. div. al fine di ridurre o addirittura
far venire meno l’assegno di divorzio è assai frequente. Così la presenza in
capo al coniuge richiedente di redditi propri, di cespiti patrimoniali di
ingente valore, ancorché improduttivi o scarsamente produttivi di reddito[29], la possibilità di beneficiare
di aiuti economici da parte della famiglia di origine[30], l’instaurazione di una
convivenza nell’ambito della quale sia configurabile la possibilità di essere
stabilmente mantenuto dall’altro partner[31] sono stati sovente
considerati elementi capaci di far venire meno o ridurre l’assegno
post-matrimoniale. Tra di essi assume una rilevanza particolarmente
significativa il criterio della durata del matrimonio, valorizzando il quale è
stato possibile giungere all’azzeramento dell’assegno post-matrimoniale persino
in presenza di evidenti disparità di reddito tra i coniugi[32].
Il principale
caposaldo del “diritto vivente” formatosi in materia di assegno di mantenimento
e di assegno divorzile, ossia il riferimento al “dogma del ‘tenore di vita’”
come criterio per decidere riguardo all’attribuzione ed alla misura del
mantenimento richiesto dalla parte economicamente debole, è stato messo in
discussione, in tempi relativamente recenti allorché è stata sollevata una
questione di legittimità costituzionale che ha evidenziato i profili
anacronistici di quell’orientamento, riferiti “ad una gerarchia di valori non
più adeguati alla contemporanea legalità costituzionale”[33]. La Corte costituzionale,
invero, ha recentemente dichiarato l’infondatezza della questione[34]. Questa condivisibile
decisione, tuttavia, non appare incompatibile con un apprezzamento di alcune
delle motivazioni addotte dall’ordinanza di remissione, soprattutto ove esse
inducono ad una riflessione sull’opportunità di valorizzare il principio
dell’autoresponsabilità del richiedente e sulla necessità di limitare la tutela
offerta al coniuge economicamente debole al termine di matrimoni di breve
durata nei quali non si riscontrino esigenze di cura di figli non
autosufficienti.
L’interpretazione
dell’art. 5, comma 6, L. n. 898/1970 prevalsa nel diritto vivente -
attribuendo al coniuge economicamente debole la garanzia di mantenere il tenore
di vita goduto in costanza di matrimonio - avrebbe travalicato, ad avviso del
giudice remittente, la funzione assistenziale che dovrebbe essere propria
dell’assegno divorzile. In definitiva, proseguiva l’ordinanza, individuare il
presupposto dell’assegno post-coniugale nello sbilanciamento delle situazioni
patrimoniali degli ex coniugi e poi quantificarlo nella cifra congrua a
“mantenere il tenore di vita coniugale”, non costituirebbe “un ‘arricchimento’
della funzione assistenziale indicata dalla legge, ma una sua alterazione, che
travalica il dato normativo e la stessa intenzione del legislatore”.
I profili di
irragionevolezza insiti nell’attuale diritto vivente venivano ulteriormente
sottolineati anche nella prospettiva del raffronto con i principi emergenti in
altri Paesi dell’UE. La motivazione dell’ordinanza di remissione, infatti,
poneva in luce che la Commissione europea sul diritto di famiglia ha stabilito
il principio secondo il quale “dopo il divorzio ciascun coniuge provvede ai
propri bisogni” (principio2.2)[35]. Da questo principio,
continua va la motivazione del Tribunale di Firenze, “deriva che dopo il
matrimonio, gli unici legami a rimanere in vita sono quelli che riguardano i
figli”; in ogni caso, qualora siano effettivamente mantenuti rapporti di tipo
patrimoniale tra i coniugi, essi dovrebbero rivestire il carattere della
temporaneità (principio 2.8).
Da ultimo,
l’irragionevolezza dell’attuale diritto vivente in materia di assegno divorzile
era stata motivata sotto il profilo dei profondi mutamenti che hanno
interessato l’istituto matrimoniale e che possono essere sintetizzati nella
c.d. “privatizzazione della relazione di coppia”. Proprio sotto questo aspetto
sembrava ravvisarsi, ad opinione del giudice remittente, un contrasto tra la
previsione di un vincolo matrimoniale che può essere dissolto per iniziativa
unilaterale di uno dei coniugi ed una disciplina delle conseguenze economiche
che garantisca a tempo indeterminato il persistente godimento del tenore di
vita coniugale alla parte economicamente debole, in omaggio ad una “concezione
‘criptoindissolubilista’ del matrimonio che appare oggi anacronistica” e che
non tiene conto del dato che vede la donna pienamente protagonista della “vita
economica e sociale della famiglia”. Il profilo del cosiddetto “anacronismo
legislativo” sembrava costituire - ad opinione del giudice remittente -
un’ulteriore e fondamentale ragione che faceva apparire necessaria “una
revisione critica del dogma del tenore di vita”; dogma che, secondo l’ordinanza
del Tribunale di Firenze, doveva considerarsi legato “ad un’altra epoca, ad
un’altra gerarchia di valori non più adeguati alla contemporanea legalità
costituzionale”.
Come
anticipato, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di
legittimità sollevata dal Tribunale di Firenze, le cui motivazioni, in effetti,
apparivano in larga misura non condivisibili. In particolare, destava
perplessità l’assunto secondo cui la c.d. “privatizzazione della relazione di
coppia” e la previsione di un vincolo matrimoniale che può essere dissolto per
iniziativa unilaterale di uno dei coniugi[36] risulta incompatibile con
una disciplina delle conseguenze economiche che garantisca a tempo
indeterminato il persistente godimento del tenore di vita coniugale alla parte
economicamente debole, in omaggio ad una “concezione ‘criptoindissolubilista’
del matrimonio che appare oggi anacronistica” e che non tiene conto del dato
che vede la donna pienamente protagonista della “vita economica e sociale della
famiglia”. In realtà, l’osservazione comparatistica rivolta verso gli
ordinamenti di common law testimonia che, al contrario, l’abdicazione da parte
dello Stato del ruolo di gatekeeper of access to divorce abbia fatto da contrappeso
all’assunzione di quello di guardian of the economic interest of divorcing
spouses and their children[37]; in altri termini,
proprio l’indebolimento del vincolo matrimoniale ha posto in particolare
evidenza l’esigenza di garantire che ciascuno dei coniugi lasci il matrimonio
“on terms of financial equality”[38]. Non a caso negli Stati
Uniti e in Inghilterra l’introduzione dell’equitable distribution system -
ossia della regola della divisione tendenzialmente paritaria delle risorse
della famiglia al momento della rottura del matrimonio - ha coinciso con il
passaggio dal divorzio basato sulla colpa al c.d. no fault divorce[39].
Anche l’assunto
secondo il quale il riferimento al tenore di vita coniugale come criterio per
decidere riguardo alla spettanza ed alla attribuzione dell’assegno divorzile
appare inadeguato in quanto non tiene conto del dato che vede la donna
pienamente protagonista della “vita economica e sociale della famiglia” appare,
invero, contraddetto dagli studi statistici e sociologici. Tali dati, al
contrario, dimostrano che nelle società in cui la parità tra uomo e donna può
dirsi raggiunta in una prospettiva individuale il problema della uguaglianza
tra i coniugi è tuttora irrisolto; e pertanto la presenza delle donne nel mondo
del lavoro non consente di superare il problema della tutela del coniuge
economicamente debole, ma lo arricchisce di elementi di complessità ed impone
di osservarlo nella più ampia prospettiva della gender justice. Queste
osservazioni inducono a sottolineare la fondamentale importanza assunta dagli
strumenti di riequilibrio delle posizioni economiche dei coniugi al momento
della rottura del matrimonio e, per quanto concerne il nostro ordinamento,
dall’assegno divorzile e dall’assegno di mantenimento. In quest’ottica occorre
rimarcare che il nostro ordinamento da un lato enuncia il principio della
eguaglianza tra i coniugi (art. 29 Cost.)[40], e, al tempo stesso,
lascia “la stabilità della famiglia […] nelle mani” di questi ultimi, non
ponendo regole per garantirla contro la loro volontà[41]. Appare fondamentale,
pertanto, assicurare un’equa divisione delle risorse proprio al momento della
rottura del matrimonio ed evitare che, in una fase della vita familiare
caratterizzata da una accentuata dispersione delle risorse patrimoniali e
umane, le conseguenze negative derivanti da una divisione del lavoro
concordemente adottata ricadano sul coniuge più debole, il quale, nella maggior
parte dei casi, si è prevalentemente dedicato all’attività casalinga[42].
Le basi più
solide sulle quali fondare l’assunto secondo cui il principio di parità deve
essere necessariamente garantito anche al momento della rottura del matrimonio
risiedono nelle norme che mirano a garantirne l’attuazione nella fase
fisiologica del rapporto. Dall’analisi di queste disposizioni emerge l’idea per
cui il legislatore - consapevole del fatto che la divisione del lavoro nella
famiglia si caratterizza per una ripartizione tendenzialmente asimmetrica e per
una persistente distinzione dei ruoli - detta regole attuative del principio
costituzionale della parità (art. 29 Cost.). Ciò traspare in modo evidente
laddove - sancendo inderogabilmente il principio della equiparazione tra lavoro
casalingo ed extradomestico - si stabilisce che “con il matrimonio il marito e
la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri”, “sono
tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di
lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia”
(art. 143 c.c.) e devono adempiere l’obbligo di mantenere i figli (artt. 147 e
315 bis c.c.) “in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro
capacità di lavoro professionale o casalingo” (artt. 148 e 316 bis c.c.).
Considerazioni
analoghe hanno accompagnato anche l’introduzione del regime legale della
comunione, in cui la logica perequativa sottesa all’istituto viene presentata
come un contrappeso rispetto ad una situazione di “evidente ingiustizia nei
confronti della donna; il cui lavoro domestico si sostanzia in una dura, se pur
non appariscente fatica”[43]. Poiché la possibilità di
optare per il diverso regime della separazione dei beni non compromette
l’attuazione inderogabile del principio di parità, che viene assolta dal regime
primario contributivo[44], si può affermare che
nella fase fisiologica del rapporto matrimoniale la divisione asimmetrica del
lavoro all’interno della famiglia trovi un adeguato contrappeso. Proprio
muovendo da questa constatazione, si deve affermare che anche nel momento in
cui il matrimonio si rompe il principio della parità tra coniugi deve trovare
applicazione e governare la divisione delle ricchezze. In altre parole, è
necessario che anche - e soprattutto - le norme che disciplinano gli effetti
patrimoniali della crisi coniugale e dello scioglimento del matrimonio
costituiscano un efficace contrappeso rispetto alle conseguenze negative che si
ricollegano ad una divisione asimmetrica del lavoro domestico nella famiglia e
che proprio nel momento della rottura del matrimonio possono manifestarsi in
tutta la loro gravità. Se così non fosse, l’attuazione del principio
costituzionale dell’eguaglianza tra i coniugi risulterebbe gravemente
compromessa e si darebbe vita ad una situazione quasi paradossale in quanto gli
strumenti che dovrebbero controbilanciare una divisione asimmetrica dei pesi
della famiglia assisterebbero il coniuge debole in un momento (la fase
fisiologica) nel quale normalmente la comunione di vita rende l’esigenza di
tutela superflua, per poi abbandonarlo proprio quando gli effetti negativi
connessi alla prolungata dedizione alla cura della famiglia si possono
manifestare - e generalmente si manifestano - con maggiore asprezza.
L’insieme di
queste considerazioni induce a sottolineare che l’assegno divorzile e l’assegno
di mantenimento debbano essere osservati come un vero e proprio architrave sul
quale si deve reggere un sistema che miri a realizzare quella equa condivisione
delle risorse della famiglia funzionale all’attuazione del principio della
parità tra coniugi. Dunque, proprio la rilettura delle norme in tema di assegno
di mantenimento e assegno di divorzio alla luce del principio costituzionale
della parità tra i coniugi (art. 29 Cost.) e dell’esigenza di garantire
adeguata tutela al singolo che abbia investito le proprie energie e sacrificato
le proprie aspirazioni professionali per la cura della famiglia (art. 2 Cost.)[45] dovrebbe costituire una
prospettiva ineludibile in funzione della quale ricostruire un’efficace tutela
della parte debole[46].
Le osservazioni
appena svolte confermano - quantomeno con riferimento ai matrimoni di lunga
durata ed a quelli nei quali siano presenti figli non autosufficienti - la
persistente ragionevolezza dell’orientamento formatosi nel diritto vivente
secondo cui l’adeguatezza dei mezzi del coniuge che richiede l’assegno
divorzile deve essere commisurata al tenore di vita che le potenzialità
economiche della famiglia hanno consentito di godere in costanza di matrimonio
ed avrebbero consentito di continuare a godere nel caso in cui questo fosse
proseguito.
In definitiva queste
osservazioni inducono ad apprezzare la decisione con la quale la Corte
costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità dell’art. 5,
comma 6, L. div. così come costantemente interpretato nel diritto vivente,
nonché a confermare, a maggior ragione, la condivisibilità dell’orientamento
che individua nel tenore di vita coniugale comprensivo di tutte le potenzialità
economiche della famiglia il parametro in ragione del quale decidere riguardo
alla spettanza ed alla quantificazione dell’assegno di mantenimento. Occorre
considerare, d’altra parte, anche una diversa prospettiva che impone di
rivisitare criticamente il riferimento al tenore di vita coniugale
costantemente operato dalla giurisprudenza e che assume una significativa
rilevanza soprattutto con riferimento ai matrimoni di breve durata nei quali
non siano presenti figli. Sotto questo profilo risultano apprezzabili le
considerazioni espresse dall’ordinanza di remissione, rispetto alle quali,
invero, sembra possibile riscontrare una implicita apertura nella stessa
decisione della Corte costituzionale. In particolare l’esigenza di
differenziare la tutela offerta al coniuge economicamente debole limitandone od
escludendone la portata in presenza di rapporti matrimoniali caratterizzati da
una particolare brevità e dall’assenza di figli sembra emergere laddove la
Corte costituzionale precisa che il riferimento al tenore di vita goduto in
costanza di matrimonio “non costituisce l’unico parametro di riferimento ai
fini della statuizione sull’assegno divorzile”. Queste considerazioni sembrano
ulteriormente ribadite anche ove la stessa motivazione precisa che il parametro
del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio assume rilievo al fine
della determinazione in astratto del tetto massimo della misura dell’assegno,
ma deve essere bilanciato, caso per caso, in concreto, con tutti gli altri
criteri indicati nell’art. 5, comma 6, L. div.[47].
Le profonde
modificazioni sociali e normative indicate a fondamento della “necessaria
revisione critica del dogma del ‘tenore di vita’” come punto di riferimento in
funzione del quale valutare l’adeguatezza dei mezzi della parte che richiede
l’assegno divorzile appaiono indubbiamente meritevoli di attenta
considerazione. In effetti, l’attuale contesto sociale e normativo risulta
sensibilmente differenziato rispetto a quello nel quale si era formato questo
consolidato indirizzo giurisprudenziale. In tale prospettiva occorre tenere in
considerazione, anzitutto, i dati demografici e statistici dai quali emerge che
in un significativo numero di casi gli ex coniugi reduci dal divorzio tendono a
riformare nuovi nuclei familiari[48]. Questa eventualità -
indubbiamente meno frequente e quindi meno avvertita dagli interpreti
all’inizio degli anni Novanta - genera in molti casi una trama di rapporti che
mal si concilia con la finalità di assicurare al nucleo familiare originario la
persistenza di un livello di benessere coincidente con il tenore di vita goduto
in costanza di matrimonio per tutto il tempo successivo al divorzio.
Oltre alle
considerazioni basate su dati statistici e demografici, occorre rilevare che
anche il sistema delle norme che governano i rapporti familiari è stato segnato
da rilevanti modificazioni e risulta oggi sensibilmente mutato rispetto a
quello nel quale il “diritto vivente” in materia di assegno divorzile si è
formato all’inizio degli anni Novanta. Anzitutto occorre ricordare che a
seguito dell’introduzione della L. n. 54/2006 è stato sancito il diritto del
figlio minore “di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo” con
ciascuno dei genitori anche in caso di separazione personale o di divorzio di
essi, “di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare
rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo
genitoriale” (art. 155 c.c. introdotto dalla L. n. 54/2006 e collocato oggi
nell’art. 337 ter, comma 1, c.c.).
L’esigenza di
compensare la fragilità e l’instabilità che caratterizzano le unioni dei
genitori attribuendo rilievo a nuove forme di responsabilità e coinvolgimento
in capo a questi ultimi e nuovi legami di parentela all’interno del nucleo
familiare inteso in senso “esteso”[49] è stata ulteriormente assecondata
dalla Riforma introdotta dalla L. n. 219/2012 e dal D.Lgs. n. 154/2013. Con
essa il legislatore ha definitivamente sancito la condizione unica dei figli,
rendendo irrilevante la circostanza che i genitori siano coniugati, siano
legati da un’unione di fatto o non abbiano mai formato una coppia unita. In
virtù di una modificazione legislativa epocale, oggi il figlio è inserito nei
rapporti di parentela di entrambi i genitori a prescindere dal matrimonio di
questi ultimi (artt. 74 e 258 c.c.)[50]; genitori che sono
chiamati di regola ad esercitare congiuntamente la responsabilità genitoriale a
prescindere dal tipo di unione che li lega e dalla sua sorte[51]. In questo nuovo scenario
il significato giuridico del matrimonio perde ogni importanza per quanto concerne
il rapporto genitori-figli e finisce per concentrarsi nell’ambito del rapporto
di coppia. La previsione di significative forme di tutela per la parte
economicamente debole successivamente alla rottura del matrimonio continua,
quindi, a costituire un elemento imprescindibile e particolarmente
qualificante, che consente di distinguere nettamente la valenza del matrimonio
rispetto a quella delle unioni non coniugali[52]. Sotto questo profilo
l’esigenza di assicurare un’adeguata tutela al coniuge che abbia investito
molti anni nella cura della famiglia appare ancora attuale. Pertanto il diritto
vivente che arricchisce la funzione assistenziale dell’assegno divorzile con il
riferimento al tenore di vita coniugale inteso nel senso più pieno sembra
tuttora rispondente al canone della ragionevolezza, così come condivisibilmente
precisato dalla decisione della Corte costituzionale. Queste considerazioni
appaiono, a maggior ragione, condivisibili allorché venga in considerazione
l’esigenza di assicurare un adeguato mantenimento al coniuge separato.
Quanto
osservato non esclude, d’altra parte, anche l’esigenza che la tutela
riconosciuta all’ex coniuge divorziato non comprometta altri diritti
fondamentali. Esigenza che appare oggi ancor più avvertita rispetto al passato
laddove si consideri che riconoscere al coniuge o all’ex coniuge economicamente
debole un incondizionato diritto al mantenimento del tenore di vita coniugale
potrebbe condurre a gravare eccessivamente la posizione dell’ex coniuge
obbligato, limitando la possibilità che quest’ultimo disponga di risorse
adeguate per il mantenimento del nucleo familiare che egli intenda formare
successivamente alla rottura del primo. La meritevolezza di tutela del
“diritto” a formare una (nuova) famiglia può essere osservata come un dato
“nuovo”, che trova spazio nel nostro ordinamento anche in considerazione
dell’importanza assunta dalle fonti sovranazionali[53]. Sotto questo profilo
appare opportuno richiamare una decisione di legittimità[54] con la quale è stato
precisato che la costituzione di una nuova famiglia successivamente alla
disgregazione del primo gruppo familiare costituisce un diritto ricompreso tra
quelli riconosciuti dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo del 1950 (art. 12) e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
Europea (art. 9). E poiché il diritto dell’individuo a formarsi una famiglia
non può incontrare un limite nemmeno laddove sia presente un primo nucleo
familiare la cui unità sia venuta meno a seguito della crisi del primo
matrimonio, si deve concludere che i diritti dei componenti della seconda
famiglia (sia essa fondata sul matrimonio o sulla convivenza) non possono
essere compressi per garantire il persistente godimento del tenore di vita
coniugale ai componenti del primo nucleo familiare.
In definitiva,
nell’attuale contesto normativo l’esigenza di assicurare al coniuge la
conservazione di un tenore di vita tendenzialmente analogo a quello goduto in
costanza di matrimonio da un lato continua a rivestire un’importanza
imprescindibile, ma, dall’altro, deve essere contemperato anche con al tri
diritti fondamentali che l’ordinamento aspira a garantire. Sotto il primo
profilo conservano la loro validità le osservazioni secondo cui l’assegno di
mantenimento e l’assegno divorzile costituiscono gli unici strumenti che il
nostro ordinamento appresta al fine di attuare un riequilibrio economico tra le
posizioni dei coniugi al termine del matrimonio; essi, quindi, sono e restano
l’architrave di un sistema che enuncia il principio della eguaglianza tra i
coniugi (art. 29 Cost.) ed aspira a garantirne l’effettività nel momento in cui
il matrimonio termina[55]. D’altra parte, in un
ordinamento che mira a tutelare il principio della parità tra i coniugi, che
riconosce il diritto a porre fine all’unione matrimoniale[56] e quello a formare una
famiglia (eventualmente anche dopo la rottura di una primo matrimonio) appare
necessario che la tutela del coniuge economicamente debole risulti efficace, ma
non incondizionata. In altri termini, è necessario evitare che essa finisca per
comprimere irragionevolmente altri diritti fondamentali che l’ordinamento
tutela e, segnatamente, i diritti dei componenti della famiglia formata
successivamente alla rottura del matrimonio. Diversamente risulterebbe violato
il parametro costituzionale della ragionevolezza e si attuerebbe un
bilanciamento tra valori non appropriato, che potrebbe condurre “ad esiti
palesemente irrazionali in quanto incompatibili con la stessa ratio legis”[57] della disciplina delle
conseguenze economiche del divorzio e, più in generale, delle norme che
governano la distribuzione delle risorse economiche all’interno della famiglia
da intendere oggi nella sua accezione più estesa.
Indubbiamente,
una volta adottata questa particolare visuale, appare necessario valorizzare
massimamente gli strumenti che il legislatore già fornisce al fine di
conseguire una razionale distribuzione di risorse che, nella maggior parte dei
casi, risultano limitate[58]. Sotto questo profilo
appare imprescindibile l’esigenza di attribuire rilievo al principio della
autoresponsabilità. Il che dovrebbe condurre - anche sulla scorta di esperienze
già maturate in altri ordinamenti europei - a differenziare sensibilmente la
tutela assistenziale fornita al coniuge economicamente debole attribuendo il
massimo rilievo ad aspetti quali la giovane età, l’assenza di carichi familiari
derivanti dalla necessità di prendersi cura dei figli non ancora
autosufficienti, infine la breve durata della relazione coniugale. Sotto questo
profilo appare particolarmente apprezzabile la decisione della Corte
costituzionale che, pur dichiarando l’infondatezza della decisione di
legittimità del diritto vivente in materia di assegno divorzile, sottolinea
l’opportunità di valorizzare, caso per caso, i criteri enunciati nell’art. 5,
comma 6, L. div. al fine di modulare la tutela offerta al coniuge
economicamente debole evitando la creazione di ingiustificate rendite di
posizione. Questo obiettivo, in effetti, potrebbe essere conseguito attraverso
una lettura interpretativa rigorosa delle norme e del “diritto vivente”
attualmente esistenti. In particolare, valorizzando opportunamente i criteri
enunciati nell’art. 5, comma 6, L. div., sembra possibile declinare la funzione
assistenziale dell’assegno divorzile secondo modalità differenziate in ragione
delle specifiche esigenze di tutela del coniuge debole evitando che la sua
tutela possa risolversi nella ingiustificata compressione di altri diritti
fondamentali.
La formazione
di una famiglia non fondata sul matrimonio è stata osservata dalla
giurisprudenza recente alla stregua di un elemento capace di determinare
l’irreversibile estinzione del contributo economico dovuto per il mantenimento
dell’ex coniuge divorziato[59].
La soluzione
accolta dalla giurisprudenza di legittimità e di merito fino ad oggi dominante
propendeva per il carattere reversibile delle limitazioni del dovere di
mantenimento gravante sull’ex coniuge. Pronunce relativamente recenti, infatti,
avevano chiarito che l’instaurazione di una stabile convivenza da parte del
beneficiario dell’assegno divorzile costituiva un limite agli obblighi imposti
alla parte economicamente forte e poneva detto assegno “in una fase di
quiescenza”; il che comportava la possibilità che la parte economicamente
debole riproponesse l’istanza volta al conseguimento dell’assegno divorzile in
caso di rottura della convivenza[60]. Questa soluzione -
seppur conforme al tenore letterale dell’art. 5, comma 10, L. div. - è apparsa
sotto alcuni profili espressione di una concezione dei rapporti tra ex coniugi
che mal si concilia con il contesto normativo attuale e, soprattutto, con la
rilevanza che in esso viene attribuita alla formazione di una nuova famiglia
nella quale siano presenti figli comuni dei partners. Infatti, qualora si
convenga circa il fatto che attraverso la creazione di una nuova famiglia
(viepiù se cementata dalla presenza di figli comuni) si compie un atto di
autoresponsabilità inconciliabile con il persistente godimento dei benefici
economici derivanti da rapporto coniugale ormai terminato, appare ragionevole
concludere che il venir meno dell’assegno post-matrimoniale dovrebbe assumere,
in linea di principio, un carattere definitivo e quindi non reversibile[61]. La soluzione adottata da
recenti decisioni della Cassazione, secondo la quale l’intervenuta
instaurazione di una convivenza da parte dell’ex coniuge beneficiario
dell’assegno post-matrimoniale dopo la definitiva rottura del vincolo coniugale
dovrebbe determinare l’effetto di limitare o escludere i doveri di mantenimento
gravanti sull’altro in via definitiva ed irreversibile appare, quindi, in linea
di principio condivisibile. Essa, infatti, ricollegando all’instaurazione di
una convivenza stabile l’effetto di estinguere il diritto dell’ex coniuge
divorziato alla percezione dell’assegno divorzile, appare coerente rispetto ad
un disegno complessivo nel quale la giurisprudenza, verosimilmente anticipando
il legislatore[62],
attribuisce gradualmente rilievo alla famiglia non fondata sul matrimonio, sia
in termini “positivi”, riconoscendo al convivente specifiche tutele, sia in
termini “negativi”, ossia ricollegando alla convivenza la perdita di diritti
scaturenti da un precedente vincolo coniugale andato in crisi.
Occorre
precisare che le osservazioni svolte con riferimento ai riflessi che
l’instaurazione di una nuova convivenza può determinare sull’assegno divorzile
non sembrano poter essere ripetute nelle ipotesi in cui la convivenza sia
instaurata da un coniuge separato titolare di assegno di mantenimento. La
separazione, infatti, determina un allentamento del vincolo matrimoniale, che,
tuttavia, persiste e quindi la permanenza di uno status di coniuge che è
persino suscettibile di riacquistare una rilevanza piena a seguito di una
eventuale riconciliazione. In quest’ultima ipotesi potrebbe addirittura
risorgere l’obbligo di contribuzione ex art. 143 c.c., e, in caso di una
successiva crisi dei coniugi già riconciliati, potrebbero ancora ricorrere i
presupposti per l’attribuzione di un assegno di mantenimento ex art. 156 c.c.
In altri termini l’instaurazione di una convivenza more uxorio da parte di un
soggetto che, in quanto separato, conservi ancora un significativo legame con
l’altro coniuge può sicuramente legittimare la limitazione o l’esclusione dei
doveri di mantenimento scaturenti dall’art. 156 c.c. Al tempo stesso la
persistenza del vincolo coniugale dovrebbe consentire di attribuire alla
limitazione o all’esclusione dei doveri di mantenimento gravanti sul coniuge i
caratteri della provvisorietà e reversibilità in ragione dei quali appare
possibile ritenere che il diritto al mantenimento della parte economicamente
debole si trovi in una situazione di quiescenza e possa ripristinarsi in caso
di rottura della nuova convivenza o di riconciliazione con il coniuge separato.
L’osservazione
del sistema della solidarietà post-coniugale a quarant’anni di distanza dalla
Riforma del ’75 evidenzia, da una parte, l’opportunità di mantenere una
efficace tutela inderogabile a favore del coniuge economicamente debole che
abbia dedicato gran parte della vita matrimoniale alla cura della famiglia o
che sia destinato ad occuparsi prevalentemente dei figli anche nel periodo
successivo alla separazione o al divorzio. D’altra parte emerge con una
crescente rilevanza l’esigenza di limitare la presenza di posizioni di
interdipendenza tra gli ex coniugi soprattutto in presenza di rapporti
matrimoniali di breve durata nei quali non si riscontri un perdurante impegno
per la cura di figli comuni. In effetti anche l’analisi comparatistica
testimonia che nella maggior parte degli ordinamenti europei e di common law si
è ormai affermato il principio secondo cui appare preferibile, ove possibile,
limitare la presenza di posizioni di interdipendenza tra gli ex coniugi. In
quest’ottica vengono in considerazione anzitutto l’introduzione di forme di
mantenimento con funzione riabilitativa e soggette a rigorosi limiti temporali;
quindi gli strumenti di definizione una tantum delle conseguenze del divorzio,
che consentono di eliminare in radice i problemi connessi alla sussistenza di
obblighi di mantenimento periodici; infine la crescente attribuzione di rilievo
alla formazione di nuclei familiari non fondati sul matrimonio come limite alla
persistenza di obblighi di mantenimento scaturenti dalla dissoluzione di una
precedente unione matrimoniale.
Così, in molti
paesi dell’UE si sta affermando il cosiddetto principio dell’autoresponsabilità[63], che conduce a prevedere
una tutela assistenziale-riabilitativa e tendenzialmente limitata nel tempo per
il coniuge reduce da un matrimonio di breve durata, ancora in giovane età e non
gravato dall’impegno richiesto per l’accudimento dei figli[64]. Questa scelta del
legislatore non di rado si accompagna a norme che impongono una definizione una
tantum delle conseguenze economiche del divorzio. Nei sistemi di common law, ad
esempio, l’adesione alla c.d. clean break theory[65] consente di risolvere il
problema dei riflessi patrimoniali del divorzio mediante l’attribuzione di una
somma una tantum (lump sum) o l’assegnazione al coniuge economicamente debole
di uno o più beni appartenenti all’altro, limitando ad ipotesi residuali il
pagamento di somme periodiche a titolo di mantenimento. Tale impostazione è
indubbiamente funzionale all’esigenza di consentire ai coniugi di definire una
volta per tutte i rapporti patrimoniali conseguenti al divorzio e lasciarsi
alle spalle la passata esperienza per ricominciare una nuova vita[66]. Del resto, anche in
ordinamenti di civil law maggiormente affini al nostro, sono stati introdotti
in tempi relativamente recenti strumenti idonei a conciliare l’esigenza di
mantenimento del coniuge economicamente debole con quella di evitare il
protrarsi di posizioni di interdipendenza economica successivamente al
divorzio. Così, ad esempio, nell’ordinamento francese, la corresponsione della
prestation compensatoire deve essere effettuata, ove possibile, mediante
l’attribuzione una tantum di una somma di denaro o di un bene immobile (art.
270 code civil)[67]
e, solo in caso di mancanza di risorse sufficienti in capo al coniuge
economicamente forte, può essere assolta mediante pagamenti periodici (art. 275
code civil)[68].
Per quanto
riguarda l’attribuzione di rilievo alle relazioni familiari non basate sul
matrimonio riveste sicuro interesse la soluzione recepita nel nuovo art. 101
c.c. spagnolo che, oltre al passaggio a nuove nozze, annovera tra le cause di
estinzione del diritto a percepire l’assegno divorzile anche la formazione di
una famiglia non fondata sul matrimonio.
Indubbiamente -
anche alla luce delle recenti Riforme che hanno condotto all’introduzione della
c.d. negoziazione assistita (D.L. n. 132/2014, poi convertito con modifiche
dalla L. n. 162/2014) e del “divorzio breve” (L. n. 55/2015) - sarebbe
auspicabile un intervento del legislatore che - allineandosi a soluzioni già
praticate in altri ordinamenti - adegui la disciplina delle conseguenze
economiche della rottura del matrimonio alle esigenze determinate dalla
crescente diffusione di nuovi modelli di famiglia articolati e complessi
determinati dalla sovrapposizione nel tempo di diversi nuclei familiari che
fanno capo all’unico soggetto economicamente forte.
Per quanto
concerne l’introduzione di strumenti di definizione una tantum dei rapporti
economici tra ex coniugi divorziati e la previsione di un mantenimento dell’ex
coniuge circoscritto entro ragionevoli limiti temporali l’intervento del
legislatore appare l’unica soluzione percorribile, stante l’assenza di elementi
positivi sulla base dei quali operare una rilettura interpretativa del sistema.
Diversamente, la possibilità di individuare nell’autoresponsabilità del coniuge
economicamente debole e, in particolare, nella scelta di quest’ultimo di dare
vita ad una nuova famiglia elementi capaci di eliminare posizioni di
interdipendenza scaturenti dal precedente matrimonio costituisce un obiettivo
che - oltre a poter essere attuato dal legislatore in una prospettiva de iure
condendo - sembra possibile conseguire, allo stato attuale, anche in via
interpretativa[69].
Anche sotto questo profilo, quindi, il recente mutamento d’indirizzo della
Cassazione in materia di estinzione dell’assegno divorzile conseguente
all’instaurazione di una nuova convivenza more uxorio da parte del beneficiario
può essere osservato come un apprezzabile tassello di un disegno teso alla limitazione
di perduranti posizioni di dipendenza economica tra ex coniugi ed alla
valorizzazione del principio dell’autoresponsabilità.
L’analisi del
sistema di regole predisposte dal legislatore al fine di tutelare la parte
economicamente debole nell’ambito della crisi del matrimonio impone di
considerare anche le crescenti istanze di ampliamento dell’autonomia dei
coniugi come strumento che consenta di predeterminare le conseguenze economiche
della crisi del rapporto. In questo ambito assume particolare interesse il
dibattito intorno alla possibilità di configurare accordi conclusi in sede di
separazione consensuale, di divorzio su domanda congiunta, di procedimenti di
negoziazione assistita e persino in una fase precedente al matrimonio con i quali
i coniugi incidano eventualmente anche sul profilo del mantenimento della parte
economicamente debole limitandone la portata.
Indubbiamente
possono cogliersi nella giurisprudenza di legittimità segnali di apertura che,
da una parte, destano notevole interesse e, dall’altra, necessitano di
precisazioni. Così, una decisione relativamente recente, ha confermato la
validità dell’accordo con il quale i coniugi in sede di separazione consensuale
avevano convenuto che il diritto al mantenimento della parte economicamente
debole fosse circoscritto entro limiti di tempo predeterminati, assumendo che
successivamente quest’ultima potesse conseguire una condizione di piena
indipendenza[70]).
Questo importante riconoscimento all’autonomia dei coniugi potrebbe essere
osservato, in prima approssimazione, come un segnale di una progressiva
erosione dell’orientamento secondo il quale non sono valide le intese tra
coniugi volte a limitare la tutela economica riconosciuta inderogabilmente al
soggetto debole. In senso contrario, tuttavia, occorre considerare che
l’esigenza di tutela della parte economicamente debole dovrebbe assumere
caratteri nettamente differenziati a seconda che si tratti di garantire il
mantenimento di un coniuge giunto ad un’età considerevole e reduce da un matrimonio
di lunga durata, di un coniuge giovane, ma al tempo stesso gravato da
significativi oneri di accudimento dei figli e, infine, di un coniuge giovane,
reduce da un matrimonio di breve durata e privo di compiti di accudimento dei
figli. Mentre, nei primi due casi, appare opportuno garantire una tutela
inderogabile alla parte economicamente debole, con riferimento al terzo
sembrano affermarsi, soprattutto alla luce delle esperienze maturate in altri
Paesi europei, indifferibili esigenze di valorizzare l’autoresponsabilità ed il
dovere di riattivarsi, prevedendo una rigorosa limitazione temporale del
diritto al mantenimento che non dovrebbe costituire una rendita a tempo
indeterminato ma, più opportunamente, assolvere ad una funzione
assistenziale-riabilitativa.
In
quest’ottica, quindi, il consolidato orientamento che considera invalidi gli
accordi funzionali a limitare o escludere l’assegno di divorzio sembra
conservare, in termini generali, la sua validità se riferito alle esigenze di
tutela del coniuge reduce da un matrimonio di lunga durata o nel quale si
prospetti un perdurante impegno per la cura dei figli minori o non
autosufficienti[71].
I capisaldi su cui esso si fonda appaiono solo in minima parte da riconsiderare
in ragione delle recenti riforme che hanno valorizzato l’autonomia dei coniugi
nel porre termine al rapporto matrimoniale. Così, da un lato, l’assunto secondo
cui gli accordi in materia di assegno divorzile sono nulli in quanto possono
condizionare il contegno processuale delle parti e, quindi, incidere
indirettamente sullo status di coniuge[72] è stato motivatamente
ritenuto superato[73]. D’altra parte, resta
comunque difficilmente superabile l’assunto secondo cui gli accordi che
prevedano una esclusione o una rinuncia dell’assegno post-matrimoniale sono
invalidi in quanto incidono su una tutela da considerarsi indisponibile, in
ragione della sua natura eminentemente assistenziale[74]. Proprio quest’ultimo
profilo è stato ulteriormente ribadito dalla Cassazione, la quale, considerando
invalida la dichiarazione con la quale la moglie aveva preventivamente
rinunciato all’assegno di divorzio, ha chiaramente affermato che
l’indisponibilità di questa forma di tutela trova fondamento nell’esigenza di
protezione del coniuge debole[75]. Nemmeno l’introduzione
di uno strumento quale la negoziazione assistita, capace di rendere
maggiormente agevole il percorso che conduce alla rottura del matrimonio, può
mutare i termini del dibattito e porre in dubbio l’esigenza di non comprimere
quel nucleo di diritti indisponibili riconosciuti alla parte economicamente
debole[76]. Al contrario
l’intangibilità di tali diritti, costituendo espressione di un fondamentale
principio di ordine pubblico, dovrebbe risultare ancor più accentuata in un
sistema che esalta il diritto del singolo a porre fine al matrimonio[77]. Ciò porta a ribadire, in
definitiva, che l’indebolimento del vincolo coniugale non affievolisce
l’esigenza di garantire una tutela adeguata ed inderogabile al coniuge debole,
ma, al contrario, la accentua[78]. Sembrano quindi
pienamente condivisibili osservazioni di chi, ha ritenuto che le tutele
garantite dalla legge non perdano il loro carattere di inderogabilità, con la
conseguenza che i patti conclusi all’esito della negoziazione assistita che
compromettano tali tutele risultano impugnabili, come qualsiasi contratto, per
contrarietà a norme imperative[79].
ALBANESE, sub art. 585 c.c., in Codice della famiglia, a cura di Sesta, 3. ed., Milano, 2015, 1671.
ARCERI, sub art. 156 c.c., in Codice della famiglia, a cura di Sesta, 3. ed., Milano, 2015, 567.
ARRIGO, L’assegno di separazione e l’assegno di divorzio, in
Separazione e divorzio, diretto da Ferrando, II, in Giur. sist. dir. civ. e comm. fondata da Bigiavi, Torino, 2003,
633 ss.
AZZARITI, Adulterini e incestuosi (Figli), in Noviss.
Dig. it., I, Torino, 1957, 309.
______.
Filiazione legittima e naturale, in Noviss.
Dig. it., VII, Torino, 1961, 324.
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. Recebido em: 21 jun. 2017. Avaliado em: 23
jun. e 12 jul. 2017.
[1] Per un’analitica
illustrazione della disciplina
delle successioni precedente la Riforma del ‘75 Casulli, Successioni (diritto civile): successione necessaria, in Noviss. Dig. it.,
diretto da Azara - Eula, XVIII, 1957, Torino, 787, in part. 797; Calvo,
La
successione del coniuge.
Garanzie individuali e nuovi scenari
familiari, Milano, 2010, 33.
[2] La preminenza del marito rispetto alla moglie
emergeva, ad esempio, nella disciplina del mantenimento in caso di separazione, ove una concezione dei rapporti tra
marito e moglie che vedeva il primo sempre e comunque obbligato a prestare
il mantenimento e configurava in capo alla seconda un analogo dovere solo
nell’ipotesi in cui il marito non disponesse di risorse sufficienti (art. 156 c.c.);
norma che ancor prima della Riforma fu dichiarata costituzionalmente
illegittima da Corte cost. 13 luglio 1970, n. 128, in DeJure.
[3] Sullo sfavore per i rapporti di filiazione
costituiti al di fuori del
matrimonio e sulla condizione
dei figli illegittimi ed adulterini Azzariti, Filiazione legittima e naturale, in Noviss. Dig. it., VII, Torino, 1961, 324; Id., Adulterini
e incestuosi (Figli), in Noviss.
Dig. it., I, Torino, 1957, 309.
[4] Sesta, Stato
unico di filiazione e diritto ereditario, in Riv. dir. civ., 2014, 5, osserva che a seguito dell’unificazione
della condizione del figlio anche la famiglia fondata sulla comune genitorialità
assume un carattere pienamente legittimo a prescindere dalla circostanza che i
genitori siano uniti in matrimonio.
[5] Sesta -
Valignani, Il regime di separazione dei beni, in Tratt.
dir. fam. diretto da Zatti, III, a cura di Anelli - Sesta, Milano, 2012,
557, in part. 618; Oberto, sub artt.
215-219, Il regime di separazione
dei beni tra coniugi, in Il codice
civile. Commentario fondato da Schlesinger e continuato da Busnelli,
Milano, 2005, 297 ss.
[6] Sul punto Corsi, Il
regime patrimoniale della famiglia: i rapporti patrimoniali tra
coniugi in generale, la comunione
legale, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu - Messineo e continuato da Mengoni, VI, 1, Milano, 1979, 28; Paradiso, I rapporti personali tra coniugi, in Il codice civile.
Commentario, diretto da Schlesinger, Milano, 2012, 3 ss.; Dogliotti,
Uguaglianza dei coniugi, in Dig. dis.priv., sez. civ., XIX, Torino,
1999, 492; Ruscello, I diritti e i
doveri nascenti dal matrimonio, in Tratt.
dir. fam., diretto da P. Zatti, I, 1, 2ª ed., Milano, 2011, 1007, in part.
1058; Zatti, I diritti e i doveri che
nascono dal matrimonio, in Tratt.
dir. priv., diretto da Rescigno, 3, 2ª ed., Torino, 1996, 15 ss.
[7] Sulla natura e i presupposti
dell’assegno di mantenimento e
di quello di divorzio Rimini, Il nuovo
divorzio, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da
Cicu - Messineo - Mengoni e continuato da Schlesinger, La crisi della famiglia, II, Milano, 2015, IV, 2, 108; Arrigo, L’assegno di separazione e l’assegno di divorzio, in Separazione
e divorzio, diretto da Ferrando, II, in Giur. sist. dir. civ. e comm. fondata da Bigiavi, Torino, 2003,
633 ss.; Totaro, Gli effetti del divorzio, in Tratt. dir. fam., diretto da Zatti, I,
2, Famiglia e matrimonio, a cura di
Ferrando - Fortino - Ruscello, 2ª ed., Milano, 2011, 1607; Rossi Carleo-Caricato, La separazione e il divorzio, in Tratt. dir. priv., diretto da Bessone,
IV, II, La crisi familiare, a cura
di Auletta, 2ª ed.,
Torino, 2013, 150 e 284; Bonilini, L’assegno post-matrimoniale, in Bonilini
-Tommaseo, Lo scioglimento del
matrimonio,in Il codice civile.
Commentario fondato da Schlesinger, diretto da Busnelli, 3ª ed., Milano, 2010, 572 ss.; Arceri, sub art. 156 c.c., in Codice della famiglia, a cura di Sesta,
3ª ed.,
Milano, 2015, 567; Santosuosso, Il
matrimonio. Libertà e responsabilità nelle relazioni familiari, Milano,
2011, 585 e 787.
[8] Basini, I diritti successori del coniuge separato, in Trattato di diritto delle successioni e
donazioni, diretto da Bonilini, III, La
successione legittima, Milano, 2009, 181; Bonilini, I diritti successori del coniuge divorziato, in Trattato di diritto delle successioni e
donazioni, diretto da Bonilini, III, La
successione legitti ma, Milano, 2009, 229 ss.; Restuccia, sub art. 548 c.c., in Codice delle successioni, a cura di
Sesta, Milano, 2011, 926; Panuccio - Dattola, Lo status dei coniugi
separati, in Tratt. dir. fam.,
diretto da Zatti, I, 2, 2ª ed., Milano, 2011, 1497; Albanese,
sub art. 585 c.c., in Codice della famiglia, a cura di Sesta,
3ª ed.,
Milano, 2015, 1671.
[9] Moretti, L’assistenza
sanitaria, in Bonilini - Tommaseo, Lo scioglimento del matrimonio,
in Il codice civile. Commentario fondato da Schlesinger,
diretto da Busnelli, 3ª ed., Milano, 2010, 737.
[10] La lacuna di tutela che si riscontrava in caso
di delibazione delle pronunce ecclesiastiche di invalidità matrimoniale concernenti
rapporti caratterizzati da una prolungata convivenza come coniugi è stata colmata solo a seguito della recente
decisione Cass., SS.UU., 17 luglio
2014, n. 16379, in
Corr. giur., 2014, 1196, con nota di Carbone, Risolto il conflitto giurisprudenziale: tre anni di convivenza coniugale
escludono l’efficacia della sentenza canonica di
nullità del matrimonio; in Nuova
giur. civ. comm., 2015, II, 47, con nota di Quadri, Il nuovo intervento delle Sezioni
Unite in tema di convivenza coniugale e delibazione delle sentenze ecclesiastiche
di nullità matrimoniale; in Nuova
giur. civ. comm., 2015, I, 50, con nota di Roma, Ordine pubblico, convivenza coniugale e pronunce ecclesiastiche di nullità del matrimonio: le sezioni unite suppliscono all’inerzia legislativa con una
sostanziale modifica dell’ordinamento.
Per un’illustrazione dello scenario successivo alla decisione delle Sezioni
Unite, Ippoliti - Martini, Questioni
attuali in tema di delibazione di sentenze ecclesiastiche di nullità del
matrimonio concordatario, in Corr.
giur., 2015, 114.
[11] Rescigno, Il
diritto di famiglia a un ventennio dalla riforma, in Riv. dir. civ.,1998, I, 113 e ora in Matrimonio e famiglia: cinquant’anni del diritto italiano, Torino, 2000, 6; Sesta, Titolarità e prova della proprietà nel
regime di separazione dei beni, in Familia,
2001, 871; Barbagli, La scelta del
regime patrimoniale, in Barbagli - Saraceno (a cura di), Lo stato delle famiglie in Italia, II,
Bologna, 1997, 105.
[12] Sulla disaffezione delle coppie italiane verso
il regime legale, e sulle relative
cause, si vedano anche le osservazioni Barbagli,
Provando e riprovando, Bologna,
1990, 135. In argomento si veda anche Oberto, La comunione legale tra coniugi, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da
Cicu - Messineo - Mengoni, continuato da Schlesinger,
I, Milano, 2010, 372
ss. La disaffezione per
il regime legale
risulta costantemente confermata: lo studio Il matrimonio in Italia, anno 2013,
pubblicato il 12 novembre 2014 consultabile sul sito dell’Istat www.istat.it/it/archivio/138266, infatti, evidenzia una costante crescita
dell’opzione per il regime di separazione che passa dal 62,7% del 2008 al 69,5% del 2013. Per un’ulteriore conferma
cfr. Separazioni e divorzi
in Italia, anno 2012, pubblicato il 23 giugno 2014, reperibile
all’indirizzo http://www.istat.it/i- t/archivio/126552.
[13] Sesta, Diritto
di famiglia, II ed., Padova, 2005, 170.
[14] In proposito Sesta, Diritto di famiglia, cit., 170.
[15] Oberto, La
responsabilità contrattuale nei rapporti familiari, Milano, 2006, 75-98.
[16] Sotto questo profilo riveste estremo interesse
la previsione (art. 41) del Codi de
famìlia della Catalogna secondo cui, qualora i coniugi abbiano adottato il
regime di separazione dei beni, si
prevede la possibilità di operare una compensazione economica in sede di divisione del patrimonio in
modo che il coniuge che abbia rinunciato ad attività lavorative o formative per
dedicarsi alla cura della famiglia sia adeguatamente ricompensato. In argomento
v. Esther Arroyo y Amayuelas, in Matrimonio, matrimoni, a cura di Brunetta D’Usseaux - D’Angelo, Milano, 2000, 425.
[17] Sesta, Diritto
di famiglia, cit., 172, che in proposito richiama
Scannicchio, Beni, soggetti e famiglia nel regime patrimoniale e primario. Un’analisi comparata, Bari, 1992, 154;
Blumberg, The Financial Incident
of Family Dissolution, in Cross Currents, Family Law and Policy in the U.S. and England, edited by
Katz - Eekelaar - Maclean, Oxford, 2000, 381; Eekelaar,
Post-divorce Financial
Obbligations, ivi, 405.
[18] Arrigo, L’assegno di separazione e l’assegno
di divorzio, cit., 656, osserva che “la tecnica legislativa
ha impiegato enunciati non compiutamente determinati, ma clausole generali
destinate ad essere
riempite di contenuto
ad opera dell’interprete”.
[19] Cass. 18 agosto 1994, n. 7437, in Rivista Famiglia e diritto, 1994, 593,
con nota di Cubeddu, Comunione legale e
beni personali: limiti probatori e dichiarazione
di coacquisto e di Carbone, Sul concetto di adeguatezza dei redditi del
coniuge separato; Cass. 14 agosto 1997, n. 7630, in Mass. Giust. civ.,1997, 1433; Cass. 29 marzo 2000, n. 3792, in Rivista Famiglia e diritto, 2000, 411,
con nota di De Michel, Assegno di
mantenimento e tenore di vita dei coniugi separati; Cass. 22 settembre
2011, n. 19349, in DeJure.
[20] L’orientamento, inaugurato da Cass. 18 agosto
1994, n. 7437, cit., può dirsi ormai assolutamente consolidato. In questo
senso, tra le tante, Cass. 26 novembre 1996, n. 10465, in Giust. civ., 1997, I, 3140; Cass. 4 aprile 1998, n. 3490, in Giur. it., 1999, I, 1, 728, con nota di
Doria, “Niente di nuovo” in tema di assegno di mantenimento tra
coniugi separati?; Cass. 16 giugno 2000, n. 8225, in Giur. it., 2001, 462, con nota di Castagnaro, La Cassazione si ostina a far sopravvivere uno status economico connesso ad un rapporto
definitivamente estinto e a non riconoscere il carattere alimentare dell’assegno; Cass. 7 marzo 2001, n. 3291,
in Rivista Famiglia e diritto, 2001,
608, con nota di Naddeo, Mantenimento
del coniuge separato e dovere di contribuzione tra autonomia e tutela;
Cass. 24 dicembre 2002, n. 18327; Cass. 5 luglio 2006, n. 15326, cit.; Cass. 7
febbraio 2006, n. 2625; Cass. 7 febbraio 2006, n. 2626 e Cass. 9 febbraio 2015,
n. 2445, tutte in DeJure.
[21] Ferrando, Le conseguenze
patrimoniali del divorzio tra
autonomia e tutela, cit., 722; Rossi-Carleo-Caricato, La separazione e il divorzio, cit., 281.
[22] Cass., SS.UU., 26
aprile 1974, n. 1194 ,
in Dir. fam.,1974, 620; Cass., SS.UU., 9 luglio 1974, n. 2008, in Dir.
fam.,1974, 635, con nota di Dall’Ongaro,
Sulla
controversa qualificazione
giuridica dell’assegno di divorzio. In
questo senso v. anche Cass. 7 novembre
1981, n. 5874, in Dir. fam., 1982,
429; Cass. 1° febbraio 1974, n. 263, in Dir.
fam.,1974, 354, con nota di Morozzo Della Rocca, Un problema ancora insoluto: la natura dell’assegno periodico di divorzio.
[23] Quadri, La
natura dell’assegno di divorzio dopo
la riforma, in Foro it., 1989,
I, 1, 2515; Id., Divorzio nel diritto civile e internazionale, in Dig. disc priv., sez. civ., VI, Torino,
1990, 537.
[24] Al riguardo costituisce ancora oggi un
imprescindibile caposaldo in materia di assegno divorzile Cass., SS.UU., 29 novembre 1990, n. 11490, in Foro it., 1991, I, 1, 67, con note di E. Quadri, Assegno di divorzio:
la mediazione delle sezioni unite e di Carbone, Urteildämmerung: una decisione crepuscolare
(sull’assegno di divorzio); tra
le tante, da ultimo, Cass. 3 luglio 2014, n. 15222,
in DeJure; Cass. 10
febbraio 2014, n.
2948, in DeJure; Cass. 4
novembre 2010, n. 22501, in DeJure.
[25] Così Cass., SS.UU., 29 novembre 1990, n. 11490.
[26] L’orientamento
secondo cui il concetto di
mezzi adeguati deve essere inteso in
funzione del tenore di vita coniugale è stato
inizialmente sostenuto da Cass. 17
marzo 1989, n. 1322, in Foro it.,
1989, I, 1, 2512, con nota di Quadri, La natura dell’assegno di divorzio dopo la riforma, mentre l’opportunità di
definire il concetto di mezzi adeguati in funzione del tenore di vita dignitoso
anziché di quello goduto in costanza di matrimonio è stata sostenuta da Cass. 2
marzo 1990, n. 1652, in Foro it., 1990, I, 1165,
con nota di Macario, Assegno di divorzio e “mezzi adeguati” e di E. Quadri, La Cassazione “rimedita” il problema dell’assegno di divorzio; in Corr. giur.,1990, 460, con nota di Carbone, Il “tenore di vita” del coniuge
divorziato; Trib. Parma 12
novembre 1998, in Rivista Famiglia e diritto, 1999, 169,
con nota di Bonilini, Assegno post-matrimoniale e tenore di vita
coniugale. In dottrina l’orientamento restrittivo è stato sostenuto da
Carbone, L’evoluzione giurisprudenziale in tema di assegno di divorzio, cit.,
12; Parente, L’assegno di divorzio, tra tendenza
di vita paraconiugale ed esistenza libera e dignitosa, cit., 215;
Bonilini, Assegno
post-matrimoniale e tenore di vita coniugale, cit., 169; Id., L’assegno
post-matrimoniale, cit., 585.
[27] Arrigo, L’assegno di separazione e l’assegno
di divorzio, cit., 686.
[28] L’orientamento espresso da Cass., SS.UU., 29
novembre 1990, n. 11490, cit., è stato ribadito in numerosissime pronunce, tra
cui, da ultimo, Cass. 3 luglio 2014, n. 15222, in DeJure; Cass. 10 febbraio 2014, n. 2948, in DeJure; Cass. 4 novembre
2010, n. 22501, in DeJure.
[29] Cass. 17 marzo 1989, n. 1322, in Dir. eccl., 1989, II, 329; Cass. 29 ottobre 1998, n. 10801, in Mass. Giust. civ., 1998,
2211, sottolinea la necessità di tenere conto
“nella valutazione delle condizioni
economiche dei coniugi non solo dei rediti veri e propri,
ma anche di tutti i cespiti patrimoniali compresi quelli immobiliari e temporaneamente improduttivi,
perché tali cespiti oltre ad essere idonei
ad assicurare benefici
di rilevanza economica al loro titolare
rappresentano comunque una entità
che può essere
diversamente impiegata o convertita”; Cass. 4 giugno 2001, n. 7541, in DeJure; Cass. 17 marzo 2000,
n. 3101, in DeJure; Cass. 17 novembre
1999, n. 12729, in
DeJure.
[30] Cass. 17
ottobre 1989, n. 4158, in Mass.
Giust. civ., 1989, 10.
[31] Sul punto cfr.
infra par. 6.
[32] Cass. 29 ottobre 1996, n. 9439, in Rivista Famiglia e diritto, 1996, 508,
con nota di Carbone, Matrimonio
effimero: l’assegno non è dovuto e in Foro it., 1997, I, 1541, con nota
di Quadri, Rilevanza della “durata
del matrimonio” e persistenti
tensioni in tema di assegno
di divorzi. Tuttavia in questo senso
si veda Cass. 4 febbraio 2009, n. 2721, in Rivista Famiglia e diritto, 2009, 682,
con nota di Al Mureden, L’assegno divorzile viene
attribuito dopo un matrimonio
durato una settimana. Configurabilità e limiti della funzione assistenziale
riabilitativa, con la quale è stata confermata la decisione di merito che
aveva riconosciuto il diritto all’assegno divorzile ad un coniuge reduce da un
matrimonio durato una sola settimana.
[33] Trib. Firenze 22 maggio 2013, in Rivista Famiglia e diritto, 2014, 687,
con nota di Al Mureden, Il parametro del
tenore di vita coniugale nel “diritto
vivente” in materia di assegno
divorzile tra persistente validità, dubbi di legittimità costituzionale ed esigenze di revisione e di
Morrone, Una questione di
ragionevolezza: l’assegno divorzile
e il criterio del “medesimo tenore
di vita”.
[34] Corte cost. 9
febbraio 2015, n. 11, in Rivista Famiglia e diritto, 2015, 537, con nota di Al Mureden, Assegno divorzile, parametro del tenore
di vita coniugale e principio di autoresponsabilità.
[35] I Principles
on European Family
Law sono stati
elaborati dalla Commission
on European Family
http://ceflonline.net/ con la finalità di
individuare soluzioni tese al perseguimento della armonizzazione del diritto di famiglia nei diversi stati
dell’Unione europea. Sul punto v. Cubeddu, I contributi al diritto
europeo della famiglia, in Patti - Cubeddu, Introduzione al diritto della
famiglia in Europa, Milano, 2008, 16.
[36] Cass. 9 ottobre 2007, n. 21099, in Rivista Famiglia e diritto, 2008, 28,
con nota di La Torre, Perdita dell’affectio
coniugalis e diritto alla separazione,
nella quale è stato enfaticamente evocato un “diritto costituzionalmente
fondato di ottenere la separazione personale e interrompere la convivenza”, ove
questa sia divenuta intollerabile; Cass. 21 gennaio 2014, n. 1164, in Rivista Famiglia e diritto, 2015, 38,
con nota di Tommaseo, La separazione giudiziale: basta volerla per ottenerla.
[37] Sesta, Presentazione
di Al Mureden, Nuove prospettive di
tutela del coniuge debole. Funzione perequativa dell’assegno divorzile e famiglia destrutturata, Milano, 2007, VIII,
osserva come “il fatto che il matrimonio non sia più indissolubile non può
avere come conseguenza che l’ordinamento non appresti idonee garanzie di tutela
a colui che in esso abbia investito le proprie risorse umane”. Questo principio,
del resto, è chiaramente enunciato anche nella section 7.02 dei Principles
of the Law of Family Dissolution elaborati dall’American Law Institute. Sempre in questo senso si rinvia alle
articolate riflessioni di Renda, Il matrimonio
civile. Una teoria neo-istituzionale, Milano,
2013, 268, il quale mette in
luce che “il principio di eguaglianza dei coniugi si associa ad un vincolo che
predetermina l’ordinamento intero della famiglia e che imprime alla relazione
tra i coniugi il carattere della solidarietà, sottraendolo alla loro
disponibilità”.
[38] Nella giurisprudenza inglese v., testualmente, Norris v. Norris, Family Division, 28 November 2002, (2002) EWHC 2996 (Fam),
(2003) 2 FCR 245.
[39] Sul no-fault divorce si vedano Weitzman, The Divorce Revolution: The
Unexpected Social and Economic Consequences
for Women and Children
in America, New
York, 1985, in part. 15-51; Jacob, Silent
Revolution: The Transformation of Divorce Law in the
United States, Chicago, 1988; Katz, Family Law in America,
New York, 2003, 82; per un’illustrazione in lingua italiana Al Mureden, Conseguenze patrimoniali del divorzio e parità tra
coniugi nelle leading decisions inglesi: verso una nuova valenza dell’istituto
matrimoniale?, in Riv. trim. dir.
proc. civ., 2009, 212.
[40] Sul principio di uguaglianza tra coniugi Sesta,
sub art. 29 Cost., in Codice della famiglia, a cura di
Sesta, 3ªed., Milano, 2015, 80.
[41] Donati, La famiglia come
relazione sociale, Milano, 1989, 49.
[42] È indubbiamente significativo che di questa
esigenza si trovi un chiaro riconoscimento nelle osservazioni contenute nel
commento ufficiale della sezione 5.05 Compensation for Primary Caretaker’s Residual Loss in Earning
Capacity dei Principles of the Law of Family Dissolution.
[43] Cfr. Relazione
al Progetto Iotti.
[44] Sesta, Diritto
di famiglia, cit., 169.
[45] Sull’art. 2 Cost. v. Barbera, sub art.
2, in Commentario della Costituzione, a cura di Branca,
Bologna-Roma, 1976; Morrone, sub art. 2 Cost., in Codice della famiglia,
a cura di Sesta, 3ª ed.,
Milano, 2015, 6 ss., in part. 39; Caggia-Zoppini,
sub
art. 29 Cost., in Commentario alla Costituzione italiana, a cura di Bifulco – Celotto - Olivetti, Torino, 2006, 611.
[46] Bessone, Rapporti
etico-sociali, in Commentario
della Costituzione, a cura di Branca, Bologna-Roma, 1976, 75, sottolinea che
l’art. 29 Cost., oltre a presentare “tutti gli attributi delle
norme costituzionali con carattere di immediata precettività”, costituisce un
punto di riferimento obbligato in funzione del quale operare la lettura di
qualsiasi norma che si riferisce a rapporti
familiari; Sesta, Negoziazione assistita
e obblighi di mantenimento nella crisi della coppia,
in Rivista Famiglia e diritto,
2015, 304. Il nesso inscindibile tra principio
di eguaglianza dei coniugi e solidarietà viene efficacemente evidenziato anche
da Renda, Il matrimonio civile. Una
teoria neo istituzionale, cit., 245 ss., in part. 263.
[47] Corte cost. 9 febbraio 2015, n. 11, cit.
[48] Nello studio Separazioni e divorzi in Italia, anno 2012,
pubblicato nel maggio 2013, reperibile all’ indirizzo http://www.istat.it/it/archivio/126552, si legge che “i tassi di separazione e di divorzio
totale sono in continua crescita. Nel 1995 per ogni 1.000 matrimoni
si contavano 158 separazioni e 80 divorzi, nel 2011 si arriva a 311 separazioni e 174 divorzi”. Le indagini demografiche mettono
a fuoco la presenza di un rilevante
numero di e divorzi in cui sono coinvolti
figli minori (48,7% e 33,1%) (Separazioni e divorzi in Italia, anno 2012, cit., 11). Un altro
dato rilevante, che emerge solo in parte dalle
statistiche dell’ISTAT, è quello che evidenzia la diffusione del fenomeno delle seconde nozze.
Anche questo dato deve essere ulteriormente integrato tenendo
conto di due fattori che le statistiche disponibili non possono prendere
in considerazione, ma che,
cionondimeno, riveste un particolare rilievo. In particolare occorre
tenere presente il considerevole aumento
di separazioni e divorzi tra
coniugi “giovani” (18-24% età inferiore ai 40 anni); questo dato, infatti, segnala
la presenza di persone
che, verosimilmente, dopo la rottura del matrimonio vivranno altre esperienze
familiari di convivenza
o si accosteranno ad un secondo matrimonio. Occorre poi tenere conto della presenza di un considerevole numero di
persone che dopo avere avuto figli fuori dal matrimonio, si apprestano a
contrarre matrimonio e a vivere una “seconda esperienza familiare”.
[49] Sesta, L’unicità dello stato di filiazione
e i nuovi assetti delle relazioni familiari, in Rivista Famiglia e diritto, 2013, 231; Id., Stato unico di filiazione e diritto ereditario, cit., 5;
Prosperi, Unicità dello “status
filiationis” e rilevanza
della famiglia non fondata sul
matrimonio, in Riv. crit. dir. priv.,
2013, 273.
[50] Sesta, L’unicità dello stato di filiazione
e i nuovi assetti delle
relazioni familiari, cit., 231.
[51] Al Mureden, La responsabilità genitoriale tra condizione unica del figlio e
pluralità di modelli familiari, in Rivista
Famiglia e diritto, 2014, 466.
[52] Al Mureden, Conseguenze
patrimoniali del divorzio e parità tra coniugi nelle leading
decisions inglesi: verso una nuova valenza dell’istituto matrimoniale?, cit.,
230. Per un’approfondita
analisi comparatistica sul “significato giuridico del matrimonio” nei diversi
paesi dell’UE v. Waaldijk, More or Less Together: Levels of legal consequences
of marriage, cohabitation and
registered partnership for different-sex and same-sex partners, Paris, 2005.
[53] Corte cost.
24 ottobre 2007, n. 348 e 349, in Giur. it., 2008, 573, con nota di
Conforti, La Corte costituzionale e la CEDU nella sentenza
n. 348/2007: Orgoglio
e pregiudizio?
[54] Cass. 19 marzo 2014, n. 6289, in Rivista Famiglia e diritto, 2015, 470,
con nota di Buzzelli, Assegno di
divorzio e nuova famiglia dell’obbligato.
[55] Renda, Il
matrimonio civile. Una teoria neo-istituzionale, cit., 264-265, attraverso
una lettura coordinata degli artt. 2 e
29 Cost., chiarisce che “i coniugi sono soggetti eguali tenuti a reciproca solidarietà” e che la solidarietà familiare
assume un carattere ancor più specifico
della solidarietà sociale.
Essa infatti non si esplica tra estranei, ma
tra soggetti compartecipi che “hanno
instaurato una comunione integrale di vita”.
[56] Cass. 9 ottobre 2007, n. 21099, cit.
[57] Cosi si esprime l’ordinanza di remissione
(Trib. Firenze 22 maggio 2013, in Rivista
Famiglia e diritto, 2014, 687, cit.).
[58] Cubeddu, Il
divorzio, in Patti - Cubeddu, Diritto
della famiglia, Milano, 2011, 628, osserva che in alcuni
ordinamenti europei si è consolidata una regola in ragione della quale è
istituita una “graduazione tra i soggetti aventi diritto a prestazioni
contributive” a seguito della crisi della famiglia. In particolare, l’A. rileva
che “uno specifico criterio è stato accolto dai princi pi di diritto europeo
della famiglia sul divorzio e il mantenimento tra ex coniugi”. Il punto 2:7,
infatti, contempla la fattispecie in cui il medesimo soggetto sia gravato
dall’obbligo di mantenere persone
appartenenti a nuclei familiari
formati in tempi successivi.
In questo caso la capacità del coniuge obbligato di soddisfare i bisogni dell’ex
coniuge economicamente debole deve essere “graduata” anche tenendo in considerazione
le eventuali esigenze di mantenimento che scaturiscano dalla formazione
di una seconda famiglia e quindi gli obblighi
assunti nei confronti del
nuovo coniuge e, in via prioritaria,
gli obblighi di mantenimento
dei figli minori.
[59] Cass. 3
aprile 2015, n. 6855, in Rivista Famiglia e diritto, 2015, 553, con nota di Ferrando, “Famiglia di fatto” e assegno di divorzio. Il nuovo
indirizzo della Corte di Cassazione; in Nuova giur. civ. comm.,
2015, I, 681, con nota di Al Mureden, Formazione di una nuova famiglia non matrimoniale ed estinzione definitiva dell’assegno di divorzio. Sul punto v.
anche le considerazioni di Quadri,
Aspetti economici postconiugali e dinamiche
esistenziali, in Nuova giur. civ. comm., 2015, II, 375.
In senso analogo, da ultimo, Cass. 9 settembre
2014, n. 17856, in DeJure; Cass. 8 settembre 2015, n.
17811, in DeJure.
[60] Cass. 11
agosto 2011, n. 17195, in Guida dir., 2011, 63, con nota di Vaccaro, Il coniuge divorziato perde il mantenimento se instaura una convivenza stabile
con un altro; Cass. 18 novembre 2013, n. 25845, in DeJure; Cass. 12 marzo 2012, n. 3923,
in DeJure.
[61] Al Mureden, Il “diritto a formare una
seconda famiglia” tra doveri
di solidarietà post-coniugale e
principio di “autoresponsabilità”, in Rivista Famiglia e diritto, 2014,
1043.
[62] Sullo schema di testo unificato proposto alla
Commissione Giustizia del Senato il 24 giugno 2014, recante “Regolamentazione
delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle
convivenze” si vedano le osservazioni di Oberto, I contratti di convivenza nei progetti di legge (ovvero sull’imprescindibilità di un raffronto tra
contratti di convivenza contratti prematrimoniali), in Rivista Famiglia e diritto, 2015,
165.
[63] Sul punto v.
Patti, I rapporti patrimoniali
tra coniugi. Modelli europei a confronto, in Il nuovo diritto di famiglia, Trattato diretto da Ferrando, II,
Bologna, 2008, 229; Id., Obbligo di
mantenere e obbligo di lavorare, in Introduzione al diritto della famiglia
in Europa, Milano, 2008, 309; Ferrando, Le conseguenze patrimoniali
del divorzio tra autonomia e tutela, in Dir. fam., 1998, 728; Cubeddu, Lo
scioglimento del matrimonio e la riforma del mantenimento
tra ex coniugi in Germania, in Familia,
2008, 22, la quale illustra la riforma del mantenimento operata
nell’ordinamento tedesco il 1° gennaio 2008 ed il principio
dell’autoresponsabilità; Ronfani, Recensione
a Al Mureden, Nuove prospettive di tutela del coniuge debole.
Funzione perequativa dell’assegno
divorzile e famiglia destrutturata, Milano, 2007,
cit., 193.
[64] Cubeddu, Solidarietà e autoresponsabilità nel diritto di famiglia, in Patti - Cubeddu,
Introduzione al diritto della famiglia
in Europa, cit., 153, in part. 170; Ead., I principi europei su divorzio
e il mantenimento tra ex coniugi, ivi,271.
[65] Blumberg, The Financial Incidents of Family Dissolution,
cit., 393 ss.
[66] In questo senso in più trattazioni si
richiamano le incisive parole di Lord Scarman
nella decisione Minton v Minton [1979]
AC 593, 608: “An object of the
modern law is to encourage [the parties] to put the past behind them and to
begin a new life which is not overshadowed by the relationship which has broken down”.
[67] L’importanza del criterio della durata del
matrimonio è sottolineata da Quadri,
I rapporti patrimoniali tra i
coniugi a trent’anni dalla
riforma del diritto di famiglia, in Familia,
2006, 34, il quale mette in luce come sia significativo il fatto che la
L. francese n. 2004-439 del 26 maggio 2004 abbia messo in risalto la rilevanza di questo criterio collocandolo al primo
posto tra quelli funzionali a determinare la prestation compensatori re (art. 271 code civil).
[68] Cfr. l’art. 275 c.c., modificato dalla L. n. 2004-439,
in vigore dal 1° gennaio
20055, ai sensi del quale “Lorsque le débiteur n’est pas en mesure de verser le
capital dans les conditions prévues par l’article
274, le juge fixe les modalités de paiement du capital, dans la
limite de huit années, sous forme de versements
périodiques indexés selon les
règles applicables aux pensions alimentaires”.
[69] Cass., SS.UU., 29 novembre 1990, n. 11490,
cit.; Cass. 1° dicembre 1993, n. 11860.; Cass. 6 agosto 1997, n. 7269; Cass. 4
novembre 1997, n. 10791; Cass. 16 giugno 2000, n. 8225; Cass. 4 giugno 2001, n. 7541; Cass. 17
gennaio 2002, n. 432; Cass. 27 settembre
2002, n. 14004; Cass. 12 febbraio
2003, n. 2076; Cass. 28 gennaio 2004, n. 1487, tutte in DeJure.
[70] Cass. 6 giugno 2014, n. 12781, in Rivista Famiglia e diritto, 2015, 685,
con nota di Grazzini, Assegno di
mantenimento “a tempo” fra “autosufficienza economica” e
rinuncia al diritto. Sul punto cfr. infra
V, II, 4.
[71] Così Cass. 11 giugno 1981, n. 3777, in Giur. it., 1981, I, 1553, con nota di
Trabucchi, Assegno di divorzio: attribuzione giudiziale e disponibilità degli interessati; Cass. 20 maggio
1985, n. 3080, in Giur. it.,
1985, I, 1, 1456, con nota di Di Loreto; in Foro it., 1986, I, 747, con nota di Quadri, Orientamenti in tema di svalutazione dell’assegno di divorzio e svalutazione monetaria; Cass. 19 novembre 1987, n.
8502, in Giur. it., 1988, I, 1, 2014,
con nota di Loy; Cass. 11 dicembre 1990, n. 11788, in Giur. it., 1992, I, 1, 156, con nota
di Cecconi; Cass. 4 giugno 1992,
n. 6857, in Corr. giur.,1992, 863, con nota di Carbone, L’assegno di divorzio tra disponibilità e indisponibilità; in Giur. it.,
1993, I, 1, 340, con nota di Dalmotto, Indisponibilità
sostanziale e disponibilità processuale dell’assegno di divorzio; Cass. 20 settembre 1991, n. 9840, in Giur. it., 1992, I, 1, 1078, con nota
di Carosone; Cass. 28 ottobre 1994, n. 8912, in Rivista Famiglia e diritto, 1995, 14, con nota di Uda, Sull’indisponibilità del diritto all’assegno di divorzio; Cass. 7 settembre 1995, n. 9416, in Vita not., 1995, 1356; Cass. 11 giugno,
1997, n. 5244, in Giur. it., 1998, 218, con
nota di Ermini; Cass. 20 marzo 1998, n. 2955, in I
contratti, 1998, 472, con nota di Bonilini, Gli accordi in vista del divorzio. Da ultimo Cass. 21 dicembre
2012, n. 23713, in Rivista Famiglia e
diritto, 2013, 321, con nota di Oberto, Gli accordi prematrimoniali in
cassazione, ovvero quando il distinguishing
finisce nella haarspaltemaschine; in Nuova giur. civ. comm., 2013, 442,
con nota di Grazzini, Accordi in vista del divorzio:
la crisi coniugale fra
“causa genetica” ed “evento condizionale” del contratto.
Sull’argomento v. anche Russo, Il potere di disposizione dei diritti inderogabili. riflessioni sul giudizio
di meritevolezza degli accordi
prematrimoniali regolativi della crisi della famiglia, in Rass. dir.
civ., 2014, 2, 459; Giliberti, Gli accordi della
crisi coniugale in bilico tra le istanze
di conservazione e la tutela dell’autonomia dei coniugi, in Dir.
fam. e pers., 2014, 1, 476.
[72] Coppola, Accordi
in vista della pronunzia di divorzio, in Bonilini - Tommaseo, Lo scioglimento del matrimonio, in Il codice civile. Commentario fondato da Schlesinger, diretto da Busnelli, 3ª ed., Milano,
2010, 732-733.
[73] Sul punto si vedano le considerazioni di
Rimini, Il nuovo divorzio, in Trattato di diritto civile e commerciale,
diretto da Cicu -Messineo - Mengoni e continuato da Schlesinger, La crisi della famiglia, II, Milano,
2015, 246 ss., il quale ricava dalla recente
Riforma in materia di negoziazione
assistita un argomento funzionale a sostenere
l’ammissibilità di intese preventive concluse
dagli sposi nella fase precedente il
matrimonio che abbiano ad oggetto le conseguenze economiche di una futura
crisi coniugale. In argomento v. anche
Arrigo, L’assegno di separazione e l’assegno di divorzio, cit., 715-733.
[74] Bargelli, L’autonomia
privata nella famiglia legittima: il caso degli accordi in
occasione o in vista del divorzio, in I
contratti di convivenza a cura di Moscati
- Zoppini, Torino, 2002, 50, afferma che il controllo
giudiziale sugli accordi concernenti l’assegno
si giustifica in ragione
della “funzione sociale” di quest’ultimo.
[75] Cass. 12 febbraio 2003, n. 2076, in Rivista Famiglia e diritto, 2003, 344, con nota di Piccaluga, Rapporti patrimoniali tra coniugi e
divorzio, in cui si ribadisce che “il principio secondo il quale gli accordi dei coniugi diretti
a fissare, in sede di separazione, il regime giuridico
del futuro ed eventuale divorzio,
sono nulli per illiceità
della causa, anche nella parte
in cui concernono l’assegno divorzile - che per la sua natura assistenziale è indisponibile - in quanto
diretti, implicitamente o esplicitamente,
a circoscrivere la libertà di difendersi nel giudizio di divorzio,
trova fondamento nell’esigenza di tutela del coniuge debole,
la cui domanda di assegnazione dell’assegno divorzile potrebbe
essere da detti accordi paralizzata o ridimensionata”.
[76] Peraltro, in
senso contrario, Rimini, Il nuovo
divorzio, cit., 246,
ritiene che la recente riforma in materia di negoziazione assistita costituisca
un elemento di novità sulla base del quale sostenere l’ammissibilità di accordi
con i quali i coniugi possano disporre dell’assegno post-matrimoniale.
[77] Questo principio, del resto, è stato ribadito
di recente dalla Cassazione a Sezioni Unite (Cass., SS.UU.,
17 luglio 2014, n. 16379, cit.) che
ha risolto una complessa questione relativa alla delibazione delle sentenze
ecclesiastiche di nullità del matrimonio. Più specificamente la S.C. - colmando
una lacuna di tutela in ragione della quale la parte economicamente debole che
aveva dedicato un significativo numero di anni ad un rapporto caratterizzato da
un’effettiva convivenza come coniugi poteva
talvolta disporre di un mantenimento
limitato a soli tre anni - ha sancito l’impossibilità di delibare pronunce ecclesiastiche di invalidità del matrimonio riferite a rapporti matrimoniali caratterizzate da una significativa
stabilità e, segnatamente, da una
convivenza come coniugi protratta per almeno un
triennio. Questa soluzione è stata motivata proprio sottolineando che i
principi costituzionali e le disposizioni di legge ordinaria che regolano
il matrimonio attribuiscono la valenza di norme di ordine pubblico italiano
alle tutele apprestate dall’art. 156 c.c. e dell’art. 5, comma 6, L. div. In definitiva
la Cassazione ha ribadito che l’assegno di mantenimento e l’assegno
divorzile assurgono a unici strumenti capaci di ridurre e limitare le
disuguaglianze tra i coniugi al momento della rottura dell’unione e pertanto non
possono essere considerati disponibili.
[78] Cfr. Commento
ufficiale della section 7.02 dei Principles of the Law of Family
Dissolution. Sull’idea per cui il matrimonio costituirebbe un “segnale” circa
il fatto che i partners hanno deciso di intraprendere una relazione
duratura sulla quale fare reciprocamente affidamento.
[79] Sesta, Negoziazione assistita e obblighi
di mantenimento nella crisi
della coppia, cit., 303.